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24 ottobre 2022

Halloween Ends: la conclusione di una saga durata 44 anni

 



 


E' uscito nelle sale cinematografiche di tutto il mondo il capitolo conclusivo (a quanto pare) della saga Halloween, nata nel 1978 e che, nel corso degli anni, si è più volte reinterpretata non senza qualche clamoroso scivolone stilistico, registico e narrativo: Halloween Ends.
Seguito di Halloween Kills, uscito nel 2021, e diretto ancora una volta da David Gordon Green (il terzo, dopo Halloween del 2018 e il già citato Halloween Kills), vede ancora una volta Michael Myers vivo e vegeto (si fa per dire) che dopo essere scampato al linciaggio nel precedente capitolo, continua la sua scia di morte.
L'unica persona che sembra potergli tenere testa è la sorella Laurie, interpretata dalla magnifica Jamie Lee Curtis, che a 63 anni sa ancora rendere più che credibile un personaggio che, anno dopo anno e sequel dopo sequel, è riuscito a convivere con l'idea di essere la preda preferita del fratello.
Cosa dire di questo capitolo conclusivo?
Senza cadere nello spoiler, possiamo intanto dire che la trama come al solito fa da sfondo a tutta una serie di eventi che vedranno l'inarrestabile Michael farsi strada tra una uccisione e l'altra, mentre Laurie dovrà, oltre a guardarsi le spalle da lui, difendersi da una comunità che la ritiene corresponsabile di tutte le vittime che suo fratello ha ucciso.
Le quasi due ore di film si sentono eccome: la narrazione è lenta, così come ci ha abituati Gordon Green, giustificata dal dover comunque portare avanti gli intrecci dei vari personaggi e delle storie che, alla fine, si riuniscono in un unico grande intreccio narrativo che vede Michael Myers come protagonista assoluto.
Jamie Lee Curtis buca ancora lo schermo, dietro l'immagine di una donna segnata dal tempo e dalle terribili vicissitudini da quarant'anni a questa parte, si nasconde una attrice che sa come dominare la scena anche quando i tempi sono talmente lenti che ci si chiede (e ce lo si chiede spesso), se non fosse stato meglio snellire un po' il tutto in favore di uno svolgimento più brillante e ritmato. 
Il finale stavolta sembra davvero segnare la parola fine alla saga; se essere bruciato vivo e subire un linciaggio non lo hanno ucciso, dubitiamo che quello che gli ha riservato il regista possa salvarlo e regalargli una "ulteriore rinascita", ma attenzione: perchè laddove la narrazione svoltasi fino a quel momento sembrava un mero riempitivo, giusto per dare un contesto a tutto (e sotto sotto è davvero così), la parola fine può essere soltanto considerata parzialmente, e chi vedrà il film o lo ha già visto saprà bene di cosa si sta parlando.
Il film vale il biglietto, quindi? La risposta è assolutamente si, anche solo per godere di un ulteriore e forse ultimo capitolo di una saga storica dell'horror nella cornice dell'atmosfera, dei festeggiamenti e degli addobbi di Halloween, insomma, un po' come vedere Lo Squalo in piena estate.
Se il resto degli attori, quasi del tutto nuovi alla saga, risulta anonimo e dotato di poco mordente interpretativo, quelli storici invece faranno sentire lo spettatore come a casa. Non potrete, ad esempio, guardare Hawkins parlare con Laurie e non provare empatia nei confronti di un uomo che avrebbe forse voluto qualcosa in più di una semplice amicizia.
Halloween Ends è la perfetta conclusione di una storia lunga due generazioni, nel bene o nel male, non è esente da difetti, ma a noi piace così com'è, perchè a Michael gli si perdona tutto, del resto, come si può non volergli bene?


03 ottobre 2022

Jeffrey Dahmer - Il Cannibale di Milwaukee

 



In occasione della serie tv che sta spopolando su Netflix, complice l'interpretazione del grandissimo Evan Peters, vogliamo parlare del serial killer al quale si è ispirata (in maniera, c'è da dirlo, molto aderente alla realtà dei fatti) e cioè di Jeffrey Dahmer, noto per le sue gesta come Il Cannibale di Milwaukee. Con 17 omicidi cruenti, tutti compiuti tra il 1978 e il 1991, Dahmer sarà per sempre ricordato come uno dei serial killer più pericolosi e violenti della storia.

Jeffrey Dahmer nacque il 21 maggio del 1960 a Milwaukee, nel Wisconsin. La sua infanzia non fu particolarmente difficile o costellata di abusi e violenze, ma la madre soffriva di depressione e il padre non gli dedicava molto tempo, lasciandolo costantemente solo e contribuendo alla formazione di un carattere chiuso, introverso e piuttosto insicuro.
Con la nascita del fratellino, del quale scelse il nome, David, il suo carattere sembrò aprirsi, ma la curiosità di quello che era allora un ragazzino di appena 8 anni si diresse verso qualcosa di macabro e decisamente poco adatto a un bambino e cioè la tumulazione di cadaveri di animali e il trattamento di ossa e pelle degli stessi per la loro conservazione.
Il padre, vedendo in lui un interesse per un qualcosa che riteneva avere fondamenti scientifici, spiegò addirittura quali fossero i metodi migliori per sbiancare le ossa, come l'utilizzo della candeggina, e gli insegnò i rudimenti sul corretto sezionamento delle carcasse.
L'interesse di Jeffrey, però, non era affatto scientifico: per lui sezionare, scuoiare e più in generale "maneggiare" animali morti era qualcosa che gli provocava un piacere fisico, sessuale, e già dai tredici anni tali fantasie si spostarono dall'eccitarsi con i cadaveri degli animali all'eccitarsi immaginando la morte dei suoi compagni di scuola. Masturbarsi, pensando a scene di violenza che culminavano, appunto, con il decesso dei suoi compagni, era diventata la normalità e sembrava essere l'unico modo con cui poter raggiungere un orgasmo, in un periodo in cui la conoscenza e l'esplorazione sessuale del proprio corpo dovrebbe invece avere una valenza diametralmente opposta.

Dai sedici anni in poi, Jeffrey Dahmer comprese di essere gay e allo stesso tempo cominciò a fare regolarmente abuso di alcool. L'anno successivo, nel 1977, i suoi genitori divorziarono quando suo padre scoprì che la moglie lo tradiva e questo non contribuì affatto positivamente all'alcolismo di cui era preda il ragazzo, che raggiunti i 18 anni di età decise di trasferirsi in Ohio, nella vecchia casa di famiglia. Il 18 giugno del 1978 diede un passaggio a Steve Hicks, uno autostoppista di 19 anni, e con una scusa lo portò a casa. Cercò di temporeggiare offrendogli da bere e mettendo un po' di musica, fino a quando l'autostoppista, visivamente a disagio, pretese di essere accompagnato al concerto per il quale aveva richiesto un passaggio in auto. Dahmer lo colpì con un manubrio da allenamento, lo soffocò, gli tolse i vestiti e si masturbò su di esso. Subito dopo smembrò il cadavere e, come aveva fatto decine di volte con gli animali morti, sciolse alcuni pezzi del corpo nell'acido e sistemò quelli più voluminosi in sacchi della spazzatura che seppellì nel bosco. 

Jeffrey parse voler accantonare l'episodio dell'omicidio e tornare a una parvenza di vita normale, iscrivendosi all'università statale dell'Ohio, abbandonata dopo soli tre mesi a causa dei suoi problemi con l'alcolismo e arruolandosi nel 1979, sotto la pressione del padre, nell'esercito degli Stati Uniti in qualità di soccorritore militare. Nei due anni in cui fu arruolato scomparvero due persone (nessuna delle due riconducibile o attribuibile a Dahmer) e nel marzo del 1981 fu congedato sempre per colpa del suo grave problema di alcolismo. Jeffrey andò a vivere con la nonna e trovò lavoro in una banca del sangue, rivelandosi un discreto lavoratore e un nipote affettuoso e servizievole. Dopo meno di un anno, però, fu licenziato dal lavoro e visse per circa due anni con il denaro che gli dava sua nonna, che spendeva regolarmente in sigarette e superalcolici. Dal licenziamento riprese a smembrare e sciogliere nell'acido animali morti in cantina, con sua nonna che si lamentava del tanfo e del fetore che salivano fin dentro l'appartamento.

Jeffrey iniziò a frequentare con una certa frequenza i bar gay della città e il 20 settembre del 1987 uccise la sua seconda vittima, Steven Tuomi, un ragazzo 25enne che rimorchiò proprio in un bar gay (luogo che da quel momento in poi avrebbe preferito quale terreno di caccia per le sue vittime) e con il quale prese una camera all'Ambassador Hotel di Milwaukee. Dopo averlo ucciso lo chiuse in una valigia abbastanza capiente acquistata per lo scopo, lo portò nella cantina di casa, ebbe un rapporto sessuale con il suo cadavere e come la volta precedente lo smembrò in vari pezzi che in parte sciolse nell'acido e in parte gettò nella spazzatura. Sette mesi dopo fu la volta di Jamie Doxtator, un giovane quattordicenne di origini nativo-americane che, con la scusa di un servizio fotografico di nudo previo pagamento di 50 dollari, attirò in cantina, strangolò e ne trattò il cadavere come le volte precedenti.

La nonna continuava a lamentarsi della puzza che emanava la cantina, un misto di acido e carne in putrefazione, Jeffrey si giustificava dicendo che era una conseguenza della sua unica passione, la tassidermia, e che avrebbe risolto il problema. Diversi mesi dopo, il 24 marzo del 1988, uccise un 22enne bisessuale di origini messicane, Richard Guerrero, anch'egli conosciuto in un bar gay. Affinando la sua tecnica, prima lo drogò sciogliendo un potente sonnifero nel suo cocktail e successivamente, quando il sonnifero ebbe effetto, lo strangolò con una cinta di cuoio. Nel mese di settembre dello stesso anno la nonna decise a malincuore di cacciarlo di casa, dato che era perennemente sbronzo, non aveva alcuna voglia di trovarsi un lavoro e la casa per colpa sua puzzava perennemente di cadavere.

Jeffrey Dahmer, ritrovatosi solo, affittò un appartamento a Milwaukee e trovò lavoro presso una fabbrica di cioccolato. Con la scusa di un servizio fotografico, adescò un tredicenne originario del Laos, Somsak Sinthasomphone, ma qualcosa andò storto: dopo averlo stordito, il ragazzino riuscì comunque a fuggire e denunciarlo, denuncia che comportò l'arresto di Dahmer per violenza sessuale e la successiva condanna a dieci mesi di ospedale psichiatrico. Scontata la pena, tornò a vivere con la nonna, ma non vi restò a lungo: dopo aver ucciso Antony Sears, conosciuto in un circolo gay, tornò a vivere da solo portandosi un inquietante souvenir: la testa e i genitali mummificati di Sears, con cui era solito masturbarsi. Da quel momento, in poco più di un anno, dal giugno del 1990 al luglio del 1991, uccise ben dodici persone, utilizzando e perfezionando la tecnica del sonnifero nei cocktail e sperimentando tecniche macabre e perverse, quali la perforazione del cranio e l'immissione al suo interno di acqua bollente e acido diluito. Il suo scopo era quello di ridurre le sue vittime in uno stato di "zombie" come lui stesso successivamente ammise in fase processuale, inducendoli a fare tutto ciò che gli avrebbe chiesto. I vicini avevano più volte lamentato odori nauseabondi e rumori molesti provenire dall'appartamento di Dahmer, denunciandolo alla polizia, che riuscì a entrare nel suo appartamento soltanto quando anche un secondo ragazzo, Konerak Sinthasomphone (fratello di Somsak), adescato secondo le stesse modalità, fuggì e denunciò l'accaduto. Jeffrey raccontò di essere il fidanzato del ragazzo e di avere semplicemente litigato dopo aver alzato un po' troppo il gomito, storia che convinse, assurdamente, la polizia a lasciare nuovamente Konerak nelle sue mani. Quando la polizia andò via, Jeffrey terminò l'opera uccidendo, smembrando e stavolta mangiando parte del ragazzo. In seguito gli agenti accorsi sul posto ebbero un vero e proprio attacco mediatico, ritenuti responsabili non solo di essere stati superficiali, ma addirittura di aver contribuito con il loro operato alla morte stessa del giovane. Tale attacco ebbe la conseguenza di farli rimuovere dall'incarico, salvo essere nuovamente riammessi e addirittura promossi a mansioni superiori qualche anno dopo.

Il fatto che Jeffrey Dahmer fosse sempre più vittima dell'alcool contribuì, probabilmente, alla sua cattura. Agiva, infatti, quasi sempre in stato di ubriachezza, noncurante dei rischi che comportava, ad esempio, lasciare resti di cadavere in bella vista nell'appartamento, chiazze di sangue e cattivi odori vari. Quando il 22 luglio del 1991 invitò Tracy Edwards nel suo appartamento, quest'ultimo non poté non notare, ad esempio, le foto dei cadaveri mutilati sulle pareti. Seppure gli fosse stato somministrato del sonnifero come tutte le altre vittime, comprendendo di essere in pericolo riuscì a fuggire dopo una breve colluttazione, trovare una pattuglia della polizia e raccontargli l'accaduto. Gli agenti, trovatisi nell'appartamento di Dahmer per verificare il racconto del giovane, dopo una breve ispezione trovarono una scena raccapricciante degna di un film dell'orrore: genitali nella formaldeide, parti del corpo in pentole e nel frigorifero pronte per essere consumati come pasto, foto di smembramenti e teschi umani. Dahmer cercò di fuggire, ma era ubriaco e gli agenti non ebbero problemi a immobilizzarlo e ad arrestarlo, ponendo finalmente fine alla scia di omicidi.

Il processo di Jeffrey Dahmer iniziò il 30 gennaio del 1992, a Milwaukee, accusato per ben 15 capi di imputazione, per ognuno dei quali lo stesso Dahmer si dichiarò colpevole. Il 13 luglio del 1992 la sentenza lo condannò all'ergastolo per ogni omicidio da lui commesso, per un totale di 957 anni di prigione. Sebbene in prigione cercò di avvicinarsi alla religione, convertendosi al cristianesimo, gli altri detenuti sapevano cosa aveva fatto e soprattutto i detenuti appartenenti a una minoranza etnica (la quasi totalità delle vittime di Dahmer, infatti, apparteneva a una minoranza etnica) volevano ucciderlo. Il primo tentativo fu a opera di un detenuto che provò ad accoltellarlo alla gola durante una funzione religiosa nella chiesa del penitenziario, tentativo che non andò a buon fine. L'odio degli altri detenuti convinse il direttore a proporre a Dahmer di trasferirlo in isolamento, ma quest'ultimo rifiutò e il 28 novembre dello stesso anno, a distanza di pochi mesi, un altro detenuto, Christopher Scarver, lo aggredì con un manubrio da palestra colpendolo ripetutamente alla testa e fracassandogli il cranio. 

Jeffrey Dahmer morì nel tragitto dal penitenziario all'ospedale e il suo cervello conservato per studi scientifici. Successivamente alla sua morte i familiari delle vittime intentarono una causa contro la famiglia di Jeffrey, richiedendo che ogni ricavato proveniente da una vendita o da un guadagno riconducibile ai Dahmer fosse devoluto alle famiglie in questione. Lionel Dahmer, il padre, aveva scritto un libro di matrice saggistica sull'influenza dei genitori nella crescita dei figli e di quanto importante fosse la loro guida, spinto dalla voglia di trasmettere quanto purtroppo era capitato a lui con suo figlio e dal senso di colpa che lo attanagliava, ma quel libro fu ostacolato in tutti i modi e sebbene venne pubblicato, la ferita nella città di Milwaukee era ancora troppo fresca e finì presto nel dimenticatoio.

Le vittime di Jeffrey Dahmer


Da questa storia fu tratto un film, nel 2002, intitolato: Dahmer - Il Cannibale di Milwaukee, con Jeremy Renner nei panni di Jeffrey Dahmer e la già citata serie su Netflix con Evan Peters.