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Il caso dei fratelli Menendez.

Lyle ed Erik Menéndez, i figli del ricco dirigente dell'intrattenimento di Beverly Hills José Menéndez, scioccarono la nazione nel 1989 ...

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15 agosto 2025

Ervil LeBaron: il profeta dell'odio che trasformò una setta in una macchina di morte

 




Tra i leader religiosi più spietati e controversi della storia americana, il nome di Ervil LeBaron evoca un'ombra lunga e terrificante. Autoproclamatosi "Profeta di Dio" alla guida della setta poligama conosciuta come Church of the First Born of the Lamb of God, LeBaron orchestrò una scia di sangue che tra gli anni '70 e '80 portò alla morte di almeno 25 persone.
Dietro la facciata di una missione divina, nascondeva un disegno di potere, vendetta e terrore che trasformò il culto in una vera e propria organizzazione omicida.

Nato nel 1935 in una comunità mormone fondamentalista nello Utah, Ervil LeBaron crebbe in un contesto dove il fanatismo religioso era la norma. Carismatico e manipolatore, utilizzò la dottrina per legittimare ogni atto di violenza, reinterpretando il concetto biblico di "blood atonement" - l'idea che alcuni peccati possano essere espiati solo con il sangue del colpevole.

Per LeBaron, ogni rivale dottrinale o discepolo ribelle diventava un "nemico di Dio" da eliminare. Il risultato fu un culto che mescolava poligamia, controllo psicologico e omicidio ritualizzato.
Tra le sue vittime ci furono leader religiosi rivali, membri della propria famiglia e seguaci sospettati di disobbedienza. Gli omicidi non erano semplici esecuzioni: venivano pianificati con precisione, affidati a "squadre della fede" composte da devoti pronti a uccidere senza esitazione, convinti che stessero compiendo la volontà divina.

Molti degli assassinii furono brutali, con colpi di pistola a distanza ravvicinata, agguati notturni  vere e proprie cacce all'uomo in più Stati e persino in Messico. LeBaron impartiva ordini diretti, spesso in codice, e si assicurava che i colpevoli fossero giustiziati senza possibilità di redenzione. 

La paranoia alimentava ulteriormente la violenza: chiunque poteva passare, da un giorno all'altro, da fedele discepolo a bersaglio designato.
Anche dopo il suo arresto nel 1979 e la condanna all'ergastolo, la macchina della morte di LeBaron non si fermò. Dal carcere continuò a comandare, scrivendo un documento noto come "Il Libro della Nuova Alleanza", in cui ordinava l'esecuzione di 50 persone considerate traditori.

Molti di quegli omicidi vennero effettivamente compiuti anche dopo la sua morte in cella, nel 1981, prova dell'inquietante lealtà e del condizionamento psicologico che aveva instillato nei suoi seguaci.

Il caso di Ervil LeBaron resta uno dei più inquietanti esempi di come il fanatismo religioso possa degenerare in violenza sistematica. Dietro la maschera di un profeta, LeBaron agì come un boss criminale, trasformando la fede in uno strumento di controllo e condanna a morte.

Oggi, la sua storia è un monito sulle pericolose derive del potere carismatico e sulla fragilità di chi, in cerca di verità, può cadere preda di un messia oscuro.




10 agosto 2025

Il massacro della famiglia Lawson: il mistero e l'orrore di una vigilia di Natale insanguinata

 







Il freddo pungente del 25 dicembre 1929 avvolgeva le colline della Carolina del Nord, mentre le famiglie si stringevano accanto al camino per festeggiare il Natale. Per la comunità rurale di Germanton, però, quella giornata si sarebbe trasformata in un incubo destinato a essere ricordato per generazioni: il brutale massacro della famiglia Lawson.

Charles Lawson, contadino rispettato e padre di sette figli, sembrava incarnare l'immagine della famiglia americana laboriosa. Poche settimane prima di Natale, aveva portato la moglie e i bambini in città per acquistare nuovi vestiti e fare un insolito servizio fotografico, gesto anomalo per un uomo di modeste condizioni economiche.
Nessuno poteva sapere che quelle fotografie sarebbero diventate l'ultimo ritratto di un'intera famiglia.

La mattina di Natale, mentre i vicini preparavano il pranzo delle feste, Lawson uscì di casa armato di fucile. Prima si diresse verso il fienile, dove le figlie Carrie e Maybell, rispettivamente di 12 e 7 anni, stavano giocando. Con precisione glaciale, sparò a entrambe e ne occultò i corpi. Tornato in casa, uccise la moglie Fannie e poi i figli Marie, James e Raymond. Infine, la più piccola, Mary Lou, appena 4 mesi, trovò la morte tra le sue mani.

Il silenzio di quel giorno fu interrotto soltanto da un ultimo colpo di fucile: Charles si tolse la vita nei boschi vicini, lasciando accanto a sé lettere e appunti confusi, incapaci di dare una spiegazione chiara al suo terribile gesto.

Le motivazioni del massacro non furono mai chiarite del tutto. Alcuno parlarono di problemi mentali, altri di gravi difficoltà economiche. Nel tempo, voci più oscure emersero: si mormorava di un possibile abuso nei confronti della figlia Marie, che sarebbe rimasta incinta del padre.
Nessuna di queste teorie fu mai confermata, ma alimentarono un alone di mistero che rese il caso immortale nelle cronache del true crime americano.

La casa dei Lawson divenne meta di curiosi e cacciatori di fantasmi, convinti che gli spiriti della famiglia vagassero ancora tra quelle mura fredde e impregnate di sangue. Negli anni il massacro è stato raccontato in libri, ballate popolari e documentari, mantenendo viva la memoria di una tragedia che, a distanza di quasi un secolo, continua a gelare il sangue.

La storia è stata anche oggetto di un documentario/reality attualmente disponibile su Netflix, 28 giorni paranormali, in cui un gruppo di sensitivi si isola per ben 28 giorni in tre location diverse che furono teatro di efferati delitti e che parrebbero ancora essere infestate dalle anime di coloro che ne furono protagonisti e vittime. Una di queste location è appunto il luogo in cui fu uccisa la famiglia Lawson. 
Ciò che rende particolarmente interessante questo documentario/reality è che l'esperimento si basa su una teoria dei coniugi Warren, i famosi demonologi esperti di occulto, che prevede, al fine di svelare completamente i segreti di un luogo infestato e mettersi in contatto con le entità presenti, di isolarsi in quel luogo per ben 28 giorni senza nessun contatto con l'esterno.



23 giugno 2025

Ted Bundy - Il killer delle studentesse

                                                             


                                                    



Il suo nome completo è Theodore Robert Cowell, è nato il 24 novembre nel 1946 a Burlington (Vermont) da Eleanor Louise Cowell in un istituto per madri non sposate, l'identità del padre è sempre rimasta sconosciuta, ma lui è famosissimo, noto con il soprannome: "il killer delle studentesse".  
Per la rubrica dei Serial Killer, oggi vi parlo di Ted Bundy.
Ted fu cresciuto dai nonni Samuel ed Eleonor Cowell a Philadelphia, che lo crebbero come figlio loro.
Alla famiglia, agli amici e al piccolo Ted fu detto che i nonni erano i suoi genitori biologi, mentre sua madre era la sorella maggiore.
Ted provava risentimento verso sua madre Eleanor per avergli sempre mentito e per avergli causato confusione sulla sua identità; scoprì la verità  nel 1969, sostenendo inizialmente che era stato il cugino a rivelargliela, ma alla scrittrice e biografa specializzata in crimini, nonché sua conoscente personale, Ann Rule, invece disse che aveva scoperto tutto da solo. In molti pensano che questa fu la causa scatenante della sua furia omicida.
Nel 1951  Eleanor e Ted andarono a Tacoma, nello stato di Washington, qui lei decise di cambiare nome in Louise, conobbe un cuoco di nome Johnny Culpepper Bundy, il quale lavorava presso l'ospedale locale e se ne innamorò perdutamente. Nello stesso anno si sposarono e Johnny adottò ufficialmente Ted, che ne prese il cognome e divenne Ted Bundy.
Anche se assunse il cognome del patrigno, Ted non mostrava nessun interesse o legame verso di esso. Successivamente Johnny e Louise ebbero altri quattro figli a cui Ted faceva spesso da babysitter. Johnny tentava sempre di farlo sentire come suo figlio, facendolo partecipare alle attività di famiglia o alle gite in campeggio, ma Ted rimaneva sempre distante da lui, continuando infatti a considerare il nonno come suo vero padre, un uomo che veniva descritto come violento, razzista antisemita e anticattolico e con un grande interesse verso la pornografia.
Soggetto a forti scatti d'ira, una volta scaraventò Julia, la sorella minore di Louise, giù dalle scale; inoltre spesso si rivolgeva ad alta voce a "presenze invisibili".
L'adolescenza di Ted lo cambiò tra la scuola e il suo impegno con i boy scout; divenne un bullo, prese parte a risse e furti vari, in alcuni episodi i professori lo descrivevano come una persona inquietante ed estremamente violenta, fu presto accusato di spiare donne dalle finestre.
Nel 1965 prese il diploma e ottenne una borsa di studio per l'università di Tacoma, luogo in cui si vocifera che abbia fatto la sua prima vittima e la seppellì nei pressi di una fontana.
Dopo un'anno a Tacoma, Ted si trasferì all'università di Washington, dove conobbe il suo primo amore, Stephanie Brooks, una ragazza che proveniva da una famiglia benestante e con cui provò a legarsi.
La ragazza, però, dopo essersi laureata, troncò ogni rapporto con lui, procurandogli una sorta di depressione che lo portò a lasciare l'università.
Nel 1969 decise di riprendere di nuovo gli studi presso l'università di Washington. Qui seguì i corsi di psicologia e legge e iniziò a essere coinvolto anche nella politica locale, lavorando alle campagne del repubblicano nero Art Fletcher ,candidato per la carica di vicegovernatore.
Nel tempo libero lavorava come volontario come operatore telefonico presso un'organizzazione no-profit della Seattle Crisis Clinic; il suo lavoro era di dare assistenza ai bisognosi e alle vittime di stupro, e fu qui che conobbe Ann Rule. Questa donna, del tutto estranea alla doppia vita dell'uomo, raccontò la sua esperienza nel libro: "Un estraneo al mio fianco".
Successivamente Ted incontrò una donna divorziata di nome Meg Anders con la quale iniziò una relazione. Lei si innamorò di lui e dei modi gentili con cui la trattava, facendo anche da figura paterna alla bambina nata dal matrimonio della donna con un altro uomo.
In quel periodo fu considerato un eroe per aver salvato una bambina di tre anni che stava annegando nel lago di un parco.
Il 4 gennaio nel 1974 ci fu il primo tentato omicidio: la vittima si chiamava Joni Lenz e aveva 18 anni; fu picchiata sul suo letto con una spranga di legno e poi violentata, riuscì a salvarsi ma non senza riportare gravi lesioni.
Il giorno seguente i coinquilini di Joni, insospettiti dal fatto che la ragazza non si facesse sentire per ben ventiquattr'ore, entrarono nell'appartamento e la trovarono nella camera da letto, sanguinante e con profondi segni di violenza. Vennero colti dal terrore nel vedere che una delle aste dall'intelaiatura del letto era stata spezzata e usata per picchiarla e poi conficcata profondamente nella sua vagina.
Joni respirava ancora al momento del ritrovamento,  così le sue coinquiline chiamarono i soccorsi e la polizia, ma quando arrivarono sul posto la ragazza era già entrata in coma per le forti lesioni subite. Quando si riprese non ricordava nulla dell'accaduto e solo in seguito si scoprì che Ted Bundy era riuscito a entrare e uscire dal suo appartamento grazie ad una finestra lasciata aperta.
Un mese dopo scomparve Lynda Ann Healy, rapita dalla sua abitazione, e dopo di lei ne scomparvero altre cinque.
Il 17 giugno del 1974 venne ritrovato il corpo di Brenda Carol Ball e due mesi dopo furono ritrovati i resti di due ragazze scomparse il 14 luglio dal lago Shammanish, Janice Ott e Denise Naslund. Janice era stata vista viva per l'ultima volta da una coppia che faceva picnic sula riva del lago; avevano visto la ragazza parlare con un giovane uomo attraente e avevano sentito che quest'ultimo si era presentato col nome "Ted " e portava un'ingessatura al braccio. Le aveva chiesto aiuto per caricare la sua barca sul tetto del suo maggiolino Volkswagen e non riusciva a farlo da solo per via del suo braccio, che si era rotto giocando a tennis.
Su questa vicenda spuntò fuori una testimone, una ragazza di nome Janice Graham, che raccontò alla polizia di come fosse stata adescata da un giovane ragazzo di nome Ted che andava in giro con un braccio ingessato e che le aveva chiesto aiuto per caricare la barca, però arrivata sul posto dove era parcheggiata l'auto si rese conto che non c'era nessuna barca. Nutrendo qualche sospetto, si era rifiutata di seguirlo fino alla casa dei suoi genitori sulla collina, dove Ted sosteneva che si trovasse la barca, e più tardi lo aveva visto in compagnia di un'altra ragazza.
Grazie a queste testimonianze fu possibile fare un identikit di Ted, che apparve su tutti i giornali. Da quel momento diverse persone cominciarono a fare il nome di Ted Bundy, tra queste ritroviamo Ann Rule e Meg Anders, ma prima che la polizia potesse arrivare a lui, l'uomo lasciò Seattle e si trasferì nello Utah.
Nei mesi successivi del 1974 altre cinque ragazze scomparvero, sempre in circostanze misteriose, tra gli Stati dello Utah,Oregon e Washington. Ma la polizia insieme agli investigatori pensavano che dietro a questi crimini ci fosse la mano di un altro assassino.
Il 17 giugno del 1974 fu trovato in un parco il corpo privo di vita della giovanissima Brenda Baker, ma la sua causa della sua morte non poté essere stabilita a causa dell'avanzato stato di decomposizione.
Il 18 ottobre 1974 scomparve la diciottenne Melissa Smith mentre tornava da una festa a Midvale, nello Utah. Fu ritrovata il 27 dello stesso mese, vicino a Salt Lake City, mutilata, sodomizzata e strangolata con le sue stesse calze. Dentro la sua vagina c'erano dei rametti e della sporcizia varia, ma la cosa più strana era che l'assassino prima di sbarazzarsi del suo cadavere l'aveva truccata.
Il 31 ottobre a Lehi, sempre nello Stato dello Utah, scomparve la diciassettenne  Laura Aime, che fu ritrovata priva di vita quattro giorni dopo, il giorno del Ringraziamento, da un'escursionista. Anche lei fu picchiata, 
sodomizzata e strangolata.

            
Alcune delle vittime accertate di Ted Bundy   


Il primo passo falso di Bundy fu l'8 novembre del 1974, quando tentò di rapire Carol Da Ronch vicino a un centro commerciale a Murray, sempre nello Utah, fingendosi un agente di polizia e dicendole che la sua auto era stata rubata. La ragazza salì sul suo maggiolino pensando che Bundy la stesse portando in una stazione di polizia per fare la denuncia del furto, ma Bundy fermò l'auto quando furono lontani dai centri abitati, le ammanettò un polso e le puntò contro la pistola, ma prima che riuscisse ad ammanettarle anche l'altro polso lei riuscì a ribellarsi e a fuggire. Mentre scappava trovò un motociclista che le diede un passaggio e la portò alla prima stazione di polizia.
Carol alla polizia fece una descrizione dell'uomo e della sua auto e fu qui che gli investigatori notarono una forte somiglianza con l'omicidio avvenuto a Washington, ma non trovarono nessuna impronta sulle manette che potesse confermare la loro ipotesi e la goccia di sangue, appartenente all'aggressore, che Carol aveva sul collo non fu sufficiente  per il test del dna.
Dopo poche ore dalla fuga di Carol scomparve Debbie Kent dalla Viewmont High School di Bountiful dello Utah. La ragazza era uscita prima dalla lezione di recitazione per andare a prendere suo fratello, ma la sua auto non lascio mai il parcheggio della scuola. Il suo corpo non venne mai ritrovato e di lei si perse ogni traccia. Tempo dopo emerse la testimonianza di Raelynn Shepard, l'insegnante di Debbie, che disse di aver visto un uomo avvicinarla con la scusa di farle credere che fosse successo qualcosa alla sua auto, lo stesso metodo che Bundy aveva usato con Carol.
Bundy si spostò nel Colorado, dove scomparvero altre quattro donne tra il gennaio e l'aprile del 1975. Una di loro fu trovata morta con segni evidenti di violenza sul suo corpo.
A Washington l'investigatore Bob Keppel, che si occupava del caso del  "killer delle studentesse", fece perquisire il maggior luogo di scarico di rifiuti dello Stato chiamato "l'area di Taylor Mountains". Durante la perquisizione del luogo furono trovati teschi rotti appartenenti a quattro ragazze diverse; uno di questi era di una ragazza scomparsa dell'Oregon.
Il 16 agosto del 1975, nello Utah, il poliziotto Bob Haywood, fratello del detective Pete Haywood di Salt Lake City coinvolto nelle indagini degli omicidi di Bundy,  vide un maggiolino che correva veloce ignorando la segnaletica stradale e "bruciando" i semafori rossi, lo seguì, chiese al conducente di accostarsi, gli chiese i documenti e notò che mancava il sedile del passeggero. Il conducente era Ted Bundy e il veicolo era il suo maggiolino. L'auto venne perquisita e vennero trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e un paio di manette. Bundy venne subito arrestato, successivamente il maggiolino fu controllato in maniera più approfondita; furono trovati e identificati i capelli di alcune ragazze, fu interrogata anche Meg Anders che per sei anni aveva frequentato Bundy, la quale raccontò agli investigatori delle cose interessanti sulle abitudini notturne del suo ex ragazzo, sulle sue stranezze in merito alle sue abitudini sessuali e sul possesso di grucce, stucco per ingessatura ospedaliera e baffi finti.
Dopo l'arresto di Bundy, gli investigatori di Salt Lake lo collegarono all'aggressione di Carol De Ronch che, osservando una foto del suo presunto aggressore mostratale dagli investigatori, non riusci a identificarlo perché all'epoca dei fatti aveva utilizzato un travestimento. L'insegnate Raelynn Shepard, invece, lo riconobbe subito come colui che rapì Debbie, fatto questo che permise l'arresto dell'uomo e posto sotto stretta sorveglianza in attesa di una prova definitiva. Sulla base dell'intero quadro indiziario, Bundy venne condannato per l'aggressione a  Carol De Ronch.
Licenziati i sui avvocati, decise di difendersi da solo e per tale motivo gli fu concesso l'accesso alla biblioteca del carcere, ma durante le sue ore di permesso Bundy riuscì a fuggire saltando da una finestra, appena in tempo per essere incolpato dall'FBI per i delitti in Colorado. 
Nono stante la sua fuga rocambolesca, Bundy venne preso sei giorni più tardi, ma incredibilmente riuscì a evadere di nuovo il 30 dicembre del 1977 e a raggiungere la Florida, dove prese in affitto un appartamento vicino a un campus universitario e cambiò il suo nome in Chris Hagen.
Il 14 gennaio del 1978 entrò nella sede di un gruppo di studentesse universitarie della Chi-Omega, dove uccise due ragazze mentre stavano dormendo, Lisa Levy e Margaret Bowman di venti e ventun anni. Anche queste ultime furono picchiate, strangolate e trovate senza vita nei loro letti. A una di loro erano state infilate due bombolette spray nella vagina e nell'ano. Oltre alle due giovani vittime Bundy era riuscito a ferirne altre due, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler, che riportarono solo qualche frattura alla testa e qualche dente rotto. La stessa notte Bundy picchiò selvaggiamente, procurandole varie fratture al cranio in cinque punti diversi, Cheryl Thomas, che sopravvisse.
Il 9 febbraio del 1978 i genitori della dodicenne Kimberly Leach di Lake City in Florida ne denunciarono la scomparsa subito dopo l'uscita da scuola. L'ultima volta era stata vista da un testimone dirigersi in compagnia di un uomo verso un furgone bianco. Il suo corpo venne trovato il 12 aprile, ma la causa della morte non si poté accertare a causa dell'avanzato stato di decomposizione del cadavere, che in alcuni punti risultava addirittura era anche parzialmente mummificato.
Dopo questo omicidio, Bundy abbandonò il furgone in un quartiere malfamato e rubò un altro furgone, occasione nel quale fu fermato dalla polizia per un controllo, ma mentre l'agente controllava i documenti approfittò della distrazione di quest'ultimo per fuggire e far perdere le sue tracce.
Tornò nel suo appartamento a Tallahassee lo ripulì da tutte le sue tracce e si diresse a Pensacola, in Florida, dove rubò un'altra auto la cui targa venne riconosciuta da un agente, che lo fermò e lo arrestò dopo una piccola colluttazione. Tra il 1979 e il 1980 in Florida si tenne il processo seguito con molta attenzione dai mass media di tutto il mondo; Bundy le provò tutte, arrivando persino a chiedere che il giudice e il suo team fossero sostituiti, richiesta che ovviamente venne rifiutata.
Al processo, la difesa fece testimoniare anche Louise Bundy, la madre di Ted,  le cui parole fecero commuovere il figlio. Sempre durante il processo fu portata all'attenzione della giuria una prova schiacciante: le sue impronte dentali sulle vittime. Bundy nel tentativo di rallentare il processo prima della sentenza si appellò a una legge delle Florida per cui qualunque dichiarazione di matrimonio davanti alla presenza di ufficiali di corte era ritenuta valida e legalmente vincolante, quindi propose alla sua attuale ragazza Carol Ann Bonne, sua ex compagna di università,di sposarlo. Lei accettò subito, divenendo così sua moglie.
Poche ore dopo, nonostante tutti gli sforzi di Bundy, arrivò la sua sentenza di morte:  la corte lo ritenne colpevole di 36 omicidi, anche se lui aveva affermato sino al giorno della sua esecuzione di averne compiuti in realtà 26.
Il giudice Edward Cowart per la sentenza disse le seguenti parole:
"E' stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo.Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. E' una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante, avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete vi siete presentato dalla parte sbagliata. Prendetevi cura di voi stesso, non ho nessun malanimo contro di voi, voglio che lo sappiate, prendetevi cura di voi stesso".
Durante le visite coniugali, sua moglie Carol Ann Bonne rimase incinta e nell'ottobre del 1982 nacque la figlia di Bundy; dopo la sua nascita, Carol non ebbe più rapporti con lui.
Alle 7:06 del 24 gennaio del 1989 Theodore Robert Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica con una scarica di 2.000 Volt per un minuto, fu dichiarato morto alle 7:16 del mattino. Fuori dal carcere si era radunata una folla con striscioni che urlava a favore dell'esecuzione.
L'ultima volontà di Ted fu di essere cremato e che le sue ceneri fossero sparse sulle Taylor Mountains nello stato di Washington.

                           
                                                       
                                                         Tratto dal libro di Elizabeth Kendall(nome d'arte)

Ted Bundy-fascino criminale, uscito nelle sale il  9 maggio 2019, diretto da Joe Berlinger con Zac Efron e Lily Collins: il film racconta la sua storia dal punto di vista della sua fidanzata. 

Trama del film: 
Elizabeth Kloepfer, con il volto segnato e qualche capello bianco, si reca in carcere per un incontro chiaramente cruciale con Ted Bundy, il serial killer con cui ha vissuto una storia d'amore. Si torna quindi indietro nel tempo alla sua giovinezza, negli anni 70, quando la loro relazione è iniziata come tante in un bar, vicino a un juke box. Il fascino di Ted è evidente, ma Elizabeth inizia a sentire che c'è qualcosa di strano nel suo comportamento.

Altri film tratti sulla vita di Ted Bundy:
Ted Bundy (uscito nel 2002), di Matthew Bright; Bundy: An American Icon (uscito nel 2008), di Michael Feifer; The Deliberate Stranger (uscito nel 1986), di Marvin J. Chomsky. Oltre a questi film sono stati prodotti svariati documentari disponibili su Netflix e Amazon Prime.


02 marzo 2025

Keith Hunter Jesperson: "The Happy Face Killer", lo strangolatore

 





Keith Hunter Jesperson è un serial killer che nei primi anni '90 uccise almeno otto donne, molte delle quali prostitute e senzatetto. Da piccolo amava catturare e uccidere animali randagi, cani, gatti, uccellini, strangolandoli fino alla morte. Questa tecnica la utilizzò anche per uccidere le sue vittime e il fatto che poi sui loro corpi e sulle lettere che inviava ai media e alle autorità per prendersi gioco di loro disegnasse delle faccine sorridenti gli valse il soprannome di Happy Face Killer.

Jesperson nacque il 6 aprile del 1955 a Chilliwack, in Canada, terzo figlio di cinque, tra fratelli e sorelle. Il padre era un tipo violento, era solito punirlo con cinghiate e scosse elettriche ogni volta che si trovava dei guai e Keith, seppur timido, nei guai ci si trovava spesso, sia a scuola che in casa, tra la sua irrefrenabile voglia di uccidere animali e le liti in cui rimaneva coinvolto nelle varie scuole che frequentava, per seguire i vari spostamenti del padre per via del suo lavoro.

Diplomatosi al liceo nel 1973, non frequentò il college perchè il padre era contrario, ma trovò lavoro come camionista, anche per mantenere la moglie Rose (sposata nel 1975) e i suoi tre figli, un maschio e due femmine. Il rapporto non durò molto, quando la moglie scoprì i tradimenti del marito chiese il divorzio e andò a vivere, con i figli, dai suoi genitori; era il 1990.

All'età di 35 anni era alto più di due metri e pesava oltre i centodieci chili, fu allora che comprese che avrebbe potuto uccidere una persona con relativa facilità, grazie alla sua superiorità fisica. La sua prima vittima fu Taunja Bennett, conosciuta in un bar di Portland. La portò a casa sua, la strangolò e occultò il cadavere. Per sua fortuna, Laverne Pavlinac, una donna in cerca di una scusa per porre fine alla relazione tossica che aveva con il fidanzato, si prese la responsabilità dell'omicidio, incolpando il fidanzato per averla costretta a compiere un tale gesto, Furono entrambi arrestati e processati.

Nel 1992 Jesperson tornò alla carica, questa volta in California, strangolando fino alla morte una giovane donna di Santa Nella il cui nome, a sua detta, era "Carla" o "Cindy". Nel 1994 fu la volta di Susanne, uccisa a Crestview, in Florida, stesse modalità.

Nonostante gli omicidi, solo nel 1995 la polizia iniziò a concentrare le attenzioni su di lui e dopo l'ennesimo omicidio riuscirono a incastrarlo e arrestarlo. La vittima era Julie Winningham, ma Jesperson cominciò a confessare non solo gli altri omicidi per cui altri si erano addossati la colpa o per i quali non era ancora stato trovato un colpevole, ma arrivò a dichiarare che le vittime fossero addirittura 185. Tale dichiarazione fu sottostimata dalla polizia, che ritenne ben più veritiero un totale di 8 vittime per mano di Happy Face Killer.

Condannato a tre ergastoli, nel 2010 fu incriminato per un altro omicidio, aggiungendo un quarto ergastolo alla sua pena, che sta scontando nel penitenziario di Riverside, in California.

Nel 2008 la figlia di Keith Hunter Jesperson, Melissa G. Moore, pubblicò un libro sul padre e su ciò che aveva vissuto con lui quando lei era alle elementari. Nei giorni che passavano in casa insieme, lo vedeva catturare, torturare e uccidere gattini e piccoli roditori, realizzando quanto stesse prendendo piede sempre più prepotentemente il lato sadico dell'uomo, ma non riuscendo ancora a concepire, essendo una bambina, fin dove si sarebbe spinto.

Nel 2014 è uscito un film su Happy Face Killer interpretato dal bravissimo attore David Arquette e diretto da Rick Bota.

      




17 settembre 2024

Il caso dei fratelli Menendez.








Lyle ed Erik Menéndez, i figli del ricco dirigente dell'intrattenimento di Beverly Hills José Menéndez, scioccarono la nazione nel 1989 quando uccisero brutalmente i genitori nella loro casa. La loro storia divenne un caso mediatico e catturò l'attenzione del pubblico come poche altre volte nella storia del crimine. 
Dietro il brutale omicidio, infatti, si nascondeva una storia di abusi subiti fin dalla giovanissima età e ne conseguì una complessa battaglia legale che avrebbe messo a dura prova le regole e i meccanismi dell'intero sistema giudiziario americano.

I fratelli, cresciuti in un mondo pieno di privilegi e di ricchezza, erano vittime di un padre severo, violento e irrispettoso, che non solo non si tratteneva dal punirli e minacciarli alla minima occasione, ma lo faceva persino in presenza di ospiti ed estranei.
L'atteggiamento aggressivo del padre, però, non si limitava alle semplici punizioni corporali. L'uomo  dedicava attenzioni fin troppo particolari ai suoi figli, cominciando dal più grande, Lyle, costringendolo a toccarsi a vicenda e a farsi masturbare, penetrandolo con oggetti vari. Quando Lyle, stanco dei continui abusi, manifestò al padre la volontà di non voler più ricevere tali "attenzioni", questi gli promise che non lo avrebbe più fatto, spostando di conseguenza il tiro sul figlio più piccolo, Erik, facendone il suo oggetto sessuale. 
Se già il fatto di un padre che abusa dei propri figli è qualcosa di mostruoso, orribile e contronatura, a rendere il tutto più amaro ci pensava la madre, che era ben consapevole di quanto stesse accadendo in casa ma, succube anche lei del marito, faceva finta di nulla, rifugiandosi nell'alcool e negli antidepressivi. 
Questa situazione, sostenevano, era culminata in un atto disperato di autoconservazione, spingendoli a uccidere i loro genitori in un impeto di rabbia, paura e disperazione.

La sera del 20 agosto 1989, Erik e Lyle Menéndez entrarono nella loro casa di Beverly Hills armati di fucile. Spararono per sei volte al padre, una delle quali, quella sulla nuca, gli fu fatale. Alla madre invece spararono per ben dieci volte, l'ultima delle quali al viso. Accertatisi che entrambi fossero morti, chiamarono la polizia e raccontarono di aver trovato i genitori privi di vita al rientro dal cinema.

Nessuno li avrebbe mai collegati all'omicidio, se non che a insospettire gli investigatori fu lo stile di vita esagerato che i due fratelli, fin da qualche giorno dopo la morte dei genitori, avevano iniziato a sfoggiare, sperperando l'eredità che si erano ritrovati a dividersi da un giorno all'altro.

Come se non bastasse Erik, in cura dal dottor Jerome Oziel, uno psicologo, confessò il terribile crimine commesso in coppia con Lyle, quasi senza rendersene conto, forse per togliersi quel peso che stava diventando, con il passare del tempo, un macigno troppo pesante da sopportare. Questi a sua volta si confidò con la sua amante, Judalon Smyth, che disse tutto alla polizia dopo aver litigato per colpa del fatto che Oziel non voleva lasciare la moglie.

In fase processuale, la squadra di difesa dei fratelli, guidata dal formidabile avvocato Leslie Abramson, dipinse un quadro vivido dei loro tormenti infantili, sostenendo che le azioni dei fratelli non erano state il risultato di calcoli a sangue freddo ma di un disperato tentativo, per l'appunto, di sfuggire agli implacabili abusi inflitti dal padre. Presentavano prove di cicatrici fisiche, traumi emotivi e una storia di trattamenti psichiatrici, tutti presumibilmente derivanti dal comportamento crudele di José.

Tuttavia, l’accusa ribatté con una narrazione diversa, quella dell’avidità e dell’avarizia. Dipinsero i fratelli come giovani viziati e autoindulgenti che, spinti dal desiderio per l'enorme fortuna dei genitori, avevano meticolosamente pianificato gli omicidi. Addussero a difficoltà finanziarie, abitudini di spesa stravaganti e una storia di conflitti con i genitori come prova di un motivo che andava oltre l’autodifesa.

Il processo divenne uno spettacolo, attirando un circo mediatico e calamitando l'attenzione pubblica verso la scoperta di una verità che, strano ma vero, poteva avere una doppia valenza ed essere interpretata su più fronti. Ogni aspetto del caso fu sezionato e analizzato, dal comportamento e dalle personalità dei fratelli ai raccapriccianti dettagli della scena del crimine. L’aula del tribunale divenne un palcoscenico per la messa in onda di segreti familiari profondamente radicati, smascherando le dinamiche tossiche che avevano infestato la famiglia Menéndez.

Alla fine, la giuria si schierò dalla parte dell'accusa, ritenendo i fratelli colpevoli di omicidio di primo grado. Lyle ed Erik furono entrambi condannati all'ergastolo senza possibilità di libertà condizionale e incarcerati in strutture separate e lontano dagli altri detenuti. Questo fino al 2018, quando furono entrambi spostati alla Richard J. Donovan Correctional Facility, lasciandoli comunque in unità separate. Il verdetto fu accolto sia con indignazione che con sollievo, lasciando il pubblico diviso sulla validità delle accuse di abuso e sulle motivazioni dei fratelli.

Nel corso degli anni, il caso dei fratelli Menéndez ha continuato ad affascinare e a provocare dibattiti. La loro storia è stata oggetto di numerosi libri, film e programmi televisivi, ognuno dei quali offre la propria prospettiva sugli eventi e le motivazioni dietro gli omicidi. La loro eredità serve a ricordare la complessità del comportamento umano, il potenziale distruttivo dell’abuso e il potere duraturo della narrazione di affascinare e sfidare la nostra comprensione del mondo che ci circonda.

Dal 19 settembre, su Netflix, è uscita la serie composta da nove episodi Monsters - La storia di Lyle ed Erik Menéndez, che è a tutti gli effetti la seconda stagione di una antologia iniziata con Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer.


29 giugno 2024

Albert Fish: La vera storia del Vampiro di Brooklyn - Crimini, Psiche e Misteri








Albert Fish, noto come Hamilton Howard Fish, è nato il 19 maggio 1870 a Washington D.C., da Randall Fish e sua moglie Ellen, una famiglia fortemente disagiata. Soprannominato come il Vampiro di Brooklyn, l'Uomo grigio, il Lupo mannaro di Wisteria e il Maniaco della Luna, Albert si vantava di aver molestato più di 400 bambini e di averne uccisi più di 100, quasi tutti afroamericani, poiché la loro carnagione, una volta appresa la loro scomparsa dai media, avrebbe scandalizzato meno l'opinione pubblica. 

Nella sua famiglia c'erano molti parenti che avevano delle problematiche di salute: uno zio paterno soffriva di psicosi e morì in ospedale, un fratello fece la stessa fine, il fratello più giovane soffriva di idrocefalia e morì in poco tempo, un altro fratello era affetto da alcolismo cronico, una sorella aveva una malattia mentale. La madre soffriva costantemente di allucinazioni, mentre una zia paterna era completamente pazza. Albert crebbe di conseguenza in un ambiente decisamente malsano, portandolo a a estraniarsi con la mente e conducendolo all'ossessione per il peccato e per l'espiazione mediante il dolore. 

La sua infanzia fu molto dolorosa; dopo la morte del padre, Albert finì in orfanotrofio, dove restò per anni in attesa che qualcuno lo adottasse. Durante la sua permanenza nella struttura,  venne ripetutamente frustrato e bastonato, facendogli scoprire il piacere derivante dal dolore fisico. Le punizioni fisiche che riceveva, addirittura, spesso gli procuravano un piacere così forte da avere l'erezione e raggiungere l'orgasmo. 

Una volta uscito dall'orfanotrofio, iniziò a mantenersi facendo dei lavoretti saltuari. Nel 1898 sposò una ragazza di diciannove anni, dalla quale ebbe ben sei figli. Prima ancora del matrimonio, intorno ai dodici anni, Albert iniziò una relazione omossessuale con un ragazzo che faceva il telegrafista. 

Sempre in gioventù iniziò a praticare la coprofagia (l'ingestione di feci e urine), frequentando anche i bagni pubblici per poter spiare i ragazzi che si svestivano per espletare le loro funzioni fisiologiche. Nel 1890 Albert decise di spostarsi a New York, intraprendendo la "professione" del gigolò. In questo periodo, confessò in seguito, violentò svariati ragazzi. 

Nel 1917, dopo diciannove anni di matrimonio, la moglie si innamorò di un ragazzo più giovane, uno studente, lasciando Albert da solo con i suoi sei figli: Albert, Anna, Geltrude, Eugene, John e Herry.


Foto della famiglia Fish


Nel 1903 Albert fu arrestato per appropriazione indebita e scontò una pena nel carcere di Sing Sing, dove ebbe diverse relazioni con altri carcerati. Si presume che il suo primo omicidio sia avvenuto nel 1910 ai danni di un uomo di nome Thomas Bedden, ma la sua brutalità nei confronti dei bambini esplose probabilmente subito dopo l'abbandono della moglie. 

Il 25 maggio del 1928, il giovane Edward Budd, trovandosi in serie difficoltà economiche, decise di inserire un annuncio sul giornale domenicale del New York World, alla ricerca di un lavoro per aiutare la famiglia. Qualche giorno dopo l'uscita dell'annuncio sul giornale, un uomo anziano con capelli e baffi lunghi e grigi, busso alla porta di casa dell'uomo e si presentò alla madre del ragazzo, Delia, con il nome di Frank Howard. Giorni dopo, Frank Howard giunse a casa Budd portando come regalo un bel cesto di fragole e del formaggio. La signora Budd lo convinse a rimanere per pranzo, così avrebbe conosciuto anche il marito, Albert Budd, Frank accettò volentieri l'invito e fece subito un'ottima impressione a tutta la famiglia per i suoi modi garbati e gentili, per il suo modo di porsi e per il suo portamento bene educato. 

Poco prima del pranzo, entrò nella sala da pranzo la figlia della signora Budd, Grace, che all'epoca aveva 10 anni. Frank si fece sfuggire qualche complimento e per non dare sospetti regalò alla bambina 50 centesimi per comprare delle caramelle.


Grace Budd


Frank (che ricordiamo essere in realtà Albert Fish) finse di dover partecipare a una festa di compleanno di suo nipote e convinse la famiglia Budd a portare con sé la piccola Grace, promettendo loro che si sarebbe preso cura di lei e che l'avrebbe riportata a casa intorno alle 21:00. Da quel giorno non ebbero più notizie di loro figlia. Non fu nessuna traccia dell'esistenza di questo Frank Howard, come se non fosse mai esistito e infatti era proprio così.

Sette anni più tardi dalla scomparsa della piccola Grace fu rinvenuta, nel novembre 1934, una busta con all'interno una lettera anonima indirizzata alla famiglia Budd, che indusse la polizia a sospettare di Albert Fish. La lettera recitava pressapoco così:

"Cara signora Budd, 
Nel 1984 io e un mio amico decidemmo di andare in Cina e salpammo da San Francisco diretti a Hong Kong. A quel tempo esisteva molta carestia in Cina, c'era la fame e la povertà dilagava. Per mangiare qualsiasi cosa il prezzo variava da 1 a 3 dollari. La gente voleva vendere i propri bambini sotto i 12 anni per comprarsi un po' di cibo. Un ragazzo o una ragazza sotto i 14 anni non erano sicuri in strada. Tu potevi andare in un negozio a chiedere della carne, e specificatamente ti tagliavano la parte di un corpo di un bambino o di una bambina che desideravi. Le parti del corpo più gustose erano persino maggiorate di prezzo. Il mio amico John stette così a lungo che ci prese gusto nel mangiare carne umana. Quando tornò a New York rapì due ragazzi, uno di 7 e l'altro di 11 anni. Li portò nella sua abitazione, spogliò i loro corpi e li rinchiuse in un ripostiglio. In seguito bruciò tutto. Spesso li torturava giorno e notte, così che la loro carne diventasse buona e tenera. Dapprima uccise il bambino di 11 anni, perché aveva il sedere più grosso e sicuramente c'era molto da mangiare. Ogni parte del suo corpo fu cucinata e mangiata eccetto la testa, le ossa e gli intestini. Fu arrostito, bollito, cotto alla griglia, fritto e cotto a stufato. Il più piccolo fece la stessa fine. Lui mi disse così spesso quanto era buona la carne umana che decisi di provarla. La domenica del 3 giugno 1928, vi portai del formaggio fresco e delle fragole. Pranzammo. Grace si sedette sul mio grembo e mi baciò. Decisi che l'avrei mangiata. Con la scusa di portarla ad una festa la portai in una casa vuota a Westchester che avevo scelto diverso tempo prima, acquistandola. Quando arrivammo li, le dissi di rimanere fuori. Si mise a raccogliere fuori di campo. Andai al piano di sopra e mi spogliai per non macchiare i vestiti di sangue. Quando tutto fu pronto andai alla finestra e la chiamai. Mi nascosi in un ripostiglio fino a che non fu nella stanza. Quando mi vide tutto nudo cominciò a piangere e provò a correre giù per le scale. L'afferrai e lei minacciò che avrebbe detto tutto alla sua mamma. Per prima cosa la spogliai. Lei scalciava, mordeva e graffiava. La soffocai fino ad ucciderla, poi la tagliai in piccoli pezzi così avrei potuto portare la sua carne a casa. La cucinai e la mangiai. Com'era dolce e tenero il suo piccolo culo, arrostito nel forno. Mi ci vollero nove giorni per mangiarne l'intero corpo. Non l'ho violentata, volevo che morisse vergine."




La signora Budd non sapeva leggere la lettera essendo analfabeta. In verità, dopo il suo arresto, Albert ammise alla procura di aver violentato la piccola Grace, ma essendo un soggetto incline a mentire non si seppe mai se lo avesse fatto per davvero. Fu proprio grazie a questa lettera che Albert Fish fu arrestato e per la precisione fu grazie a un emblema particolare, uno stemma piccolo ed esagonale con delle lettere incise: "N.Y.P.C.B.A." che tradotto significa "New York  Private Chauffeur's Benevolent Association". Un portinaio che lavorava lì disse di aver preso alcuni pacchi e documenti vari e di averli lasciati al suo alloggio al 200 Est 52nd Street. La padrona di casa fu scioccata nel sentire la descrizione di Frank Howard e affermò che l'uomo che stavano descrivendo aveva vissuto lì per ben due mesi e che passava lì regolarmente per ritirare le lettere che suo figlio gli inviava. Dovettero aspettare che arrivasse una lettera e che Fish andasse a ritirarla per poterlo arrestare, cosa che avvenne il 13 dicembre del 1934, per mano del capo investigatore William F. King.





Albert confessò anche l'omicidio di un bambino chiamato Billy Gaffney, sparito l'11 febbraio 1927 mentre stava giocando con il suo amico Billy Beton. Quando interrogarono l'amico, gli chiesero cosa fosse successo al piccolo Billy e il bambino rispose dicendo: "Boogeyman l'ha portato via". 

Un giorno, un autista di linea tranviaria, Joseph Meehan, vedendo la foto di Albert su tutti i giornali locali, lo identificò come l'anziano signore che stava provando a calmare un ragazzino seduto accanto a lui sul tram. La polizia purtroppo non fu in grado di recuperare dal fiume nel quale Albert disse di aver gettato parti del corpo. 

I genitori di Billy erano Elizabeth ed Edward Gaffney. Elizabeth andò a far visita ad Albert nel carcere di Sing Sing per cercare di ottenere più dettagli sulla morte del figlio. Albert confessò l'omicidio dicendo: "Portai Billy vicino alla fossa, lo spogliai e gli legai mani e piedi, poi lo imbavagliai con un lembo di straccio sporco che avevo raccolto nella fossa. Poi bruciai i suoi vestiti e gettai le sue scarpe nella fossa. Intorno alle 02:00 andai a casa e l'indomani intorno alle 14:00 tornai da lui portando con me un gatto a nove code che fabbricai in casa tagliando una mia cintura. Con questo gatto a nove code ci frustai il suo posteriore nudo fino a che il sangue non scorse sulle gambe, poi tagliai le sue orecchie, il naso e infine decisi di incidere la sua bocca da orecchio a orecchio, poi gli cavai gli occhi e fu lì che morì. Decisi di ficcare il coltello nel suo ventre e tenni la mia bocca vicino al suo corpo per bere il suo sangue. Lo feci a pezzi e misi le sue orecchie, il naso, il pene, i testicoli, un pezzo del suo posteriore e alcune fette del suo ventre nella valigia che avevo con me. Infine tagliai il resto a pezzi, misi tutto dentro dei sacchi appesantiti con delle pietre, li legai insieme e li gettai dentro al fiume, guardandoli andare a fondo in poco tempo. 

Tornai a casa con la carne che avevo raccolto nella valigia e mi prepari un bel banchetto;  mi feci uno stufato con le sue orecchie, il naso, pezzi della faccia e della pancia, ci misi delle cipolle, carote, rape, sedano, sale e pepe ed era tutto squisitissimo. Mangiai ogni bocconcino di quella carne in circa 4 giorni, ma la cosa più buona fu il suo piccolo pene, dolce come una nocciolina, mentre i suoi testicoli non riuscii a masticarli e dovetti gettarli nel gabinetto".


Billy Gaffney


Albert confessò anche l'omicidio di un altro bambino di otto anni, Francis X. McDonnell, scomparso il 15 luglio del 1924 mentre stava giocando sul portico di casa sua a Richmond, Staten Island. Il corpo del bambino fu trovato nei boschi. Dalla ricostruzione della scientifica, il ragazzino fu assalito, picchiato e strangolato con le sue stesse bretelle. Parecchi testimoni dissero di aver visto un anziano signore girare in quei boschi quel pomeriggio.


Francis X. McDonnell

Albert Fish soffriva anche di una grave forma di masochismo; raccontò che gli piaceva farsi picchiare violentemente anche dai suoi stessi figli. Era solito conficcarsi degli aghi e degli spilli all'interno del suo scroto e nella zona intorno al suo ano, così in profondità che a volte alcuni di essi non riusciva più a tirarli via. Nel suo corpo, durante una radiografia, furono trovati circa ventinove tra aghi e spilli.


La radiografia Di Albert Fish


Il processo di Albert fu molto breve, perché l'intenzione della difesa era quello di dimostrare che Albert fosse incapace di intendere e di volere, ma nel suo metodo e nelle sue risposte si notavano un'accuratezza nei dettagli e una consapevole intenzione nel voler agire in quel modo sia nei confronti di sé stesso che dei bambini che escluse tale ipotesi.

Anche se la giuria, nonostante tutto, cercò di fargli avere l'infermità mentale, fu ugualmente condannato a morte mediante sedia elettrica, morte che avvenne il 16 gennaio del 1936. 

Albert aiutò persino i suoi carcerieri a stringere le fibbie della sedia ed esclamò che la scossa elettrica era l'unica cosa che non avesse mai provato in vita sua.



Nel 2007 uscì il film documentario su Albert Fish diretto da John Borowski, con Oro Benzina e Joe Coleman. Il titolo del film è: Albert Fish: Nel Peccato trovò la salvezza.


Locandina del film "Albert Fish"



Nel 2007 uscì anche il film The Gray Man, diretto da Scott L. Flynn, con Patrick Bauchau, Jack Conley e John Aylward.


Locandina del film "The Gray Man"






23 giugno 2024

Dennis Rader: il serial killer BTK e la storia di una caccia durata decenni









Dennis Rader, conosciuto anche come il killer BTK, è uno dei serial killer più famigerati nella storia criminale degli Stati Uniti. La sua capacità di nascondersi dietro una facciata di normalità e la sua fredda brutalità hanno scioccato, all'epoca degli eventi, una intera nazione, uccidendo tra il 1974 e il 1991 dieci persone con metodi cruenti.

Primo di quattro figli, nacque il 9 marzo 1945 a Pittsburg, Kansas, ma crebbe a Wichita. Da piccolo sviluppò una morbosa ossessione nel torturare gli animali e per il feticismo. Dopo aver completato gli studi alla Kansas Wesleyan University, passò gli anni dal 1966 al 1970 in giro per il mondo per le forze armate presso la U.S. Air Force. 

Tornato in America, si destreggiò tra diversi lavori: nel reparto carni di un supermercato, come assemblatore in una ditta di attrezzature da campeggio e come Supervisore del Dipartimento di Vigilanza a Park City.
Nel 1971 si sposò con Paula Detz, dalla quale ebbe due figli, un maschio e una femmina.
Per anni è stato membro, e successivamente presidente, della congregazione Luterana della sua Chiesa e  capo scout.

Il primo omicidio a opera di Rader avvenne il 15 gennaio 1974 ai danni di una famiglia di Wichita, la famiglia Otero. Uccise l'intera famiglia, compresi i minori di 11 e 9 anni a eccezione de figlio maggiore, che scoprì i cadaveri al ritorno da scuola. Sul luogo del delitto vennero trovate tracce di violenza, di sevizie e tracce spermatiche riconducibili a una probabile aggressione sessuale. Nel 1978 spedì una lettera a una emittente radiofonica locale in cui, anonimamente, si assumeva la responsabilità dell'omicidio della famiglia Otero e ne descriveva i dettagli. 

L'anno successivo, nel 1979, Anna Williams, 63 anni, sfuggì fortunosamente al killer rientrando tardi dal lavoro, nonostante Rader si fosse appostato per ore nell'intento di ucciderla. Lo stesso Rader, durante la confessione dopo il suo arresto, si dichiarò dispiaciuto per non essere riuscito a compiere il delitto.

Il 27 aprile 1985 il killer BTK - il soprannome BTK deriva dal modus operandi di Rader: Bind (legare), Torture (torturare) e Kill (uccidere) - colpì ancora: uccise una donna di 53 anni, Marine Hedge, la trasportò nella chiesa in cui lui era presidente della congregazione, la posizionò in pose oscene e si masturbò, sbarazzandosi nel corpo in un fossato vicino, che fu scoperto una decina di giorni dopo.

Nel 1988 stranamente Il BTK killer inviò una lettera alla polizia in seguito all'uccisione di tre membri della famiglia Fager; ci teneva a precisare di non essere lui l'artefice del delitto, ma che ne apprezzava il "lavoro" svolto.

Dopo l'omicidio di Dolores E.Davis, nel 1991, la scia di omicidi per mano di BTK si fermò. Quando il caso stava per essere archiviato, ben tredici anni dopo dall'ultimo omicidio a lui attribuito, Rader tornò con una serie di missive sotto lo pseudonimo BTK in cui si proclamava l'artefice di omicidi precedentemente non attribuiti a lui, come quello di Vicki Wegerle, nel 1986, allegando foto delle vittime durante le torture e i loro documenti come prova delle sue affermazioni.

Il 16 fenbbraio 2005 Dennis Rader, preso dalla smania di voler sfidare le forze dell'ordine e i media con le sue dichiarazioni anonime, fece un grosso passo falso: inviò alla polizia un floppy disk contenente una serie di dichiarazioni, convinto di non poter essere tracciato, La polizia invece, incrociando i metadati trovati sul dischetto e confrontandoli con una serie di piste, prima del tutto inesplorate, perquisirono l'abitazione e l'auto di Rader, trovando elementi riconducibili ai crimini commessi e arrestando l'uomo il 25 febbraio 2005 appena in tempo: il killer aveva infatti in mente di tornare a uccidere, avendo già adocchiato la prossima vittima.


Il 28 febbraio dello stesso anno Rader venne incriminato per i dieci omicidi da lui confessati, anche se si sospetta che in realtà fossero molti di più. Il 18 agosto venne condannato a dieci ergastoli senza possibilità di libertà condizionale e trasportato nel penitenziario El Dorado Correctional Facility.

La moglie ottenne subito il divorzio (una eccezione, visto il caso specifico, che avrebbe dovuto prevedere una attesa di 60 giorni per la Curia)  dopo aver scoperto che l'uomo che amava, in realtà, era un feroce serial killer.

Il personaggio di Dennis Rader, alias il killer BTK, è stato negli anni oggetti di libri, saggi, film e serie tv, compresa la serie Mindhunter, su Netflix.



03 ottobre 2022

Jeffrey Dahmer - Il Cannibale di Milwaukee

 



In occasione della serie tv che sta spopolando su Netflix, complice l'interpretazione del grandissimo Evan Peters, vogliamo parlare del serial killer al quale si è ispirata (in maniera, c'è da dirlo, molto aderente alla realtà dei fatti) e cioè di Jeffrey Dahmer, noto per le sue gesta come Il Cannibale di Milwaukee. Con 17 omicidi cruenti, tutti compiuti tra il 1978 e il 1991, Dahmer sarà per sempre ricordato come uno dei serial killer più pericolosi e violenti della storia.

Jeffrey Dahmer nacque il 21 maggio del 1960 a Milwaukee, nel Wisconsin. La sua infanzia non fu particolarmente difficile o costellata di abusi e violenze, ma la madre soffriva di depressione e il padre non gli dedicava molto tempo, lasciandolo costantemente solo e contribuendo alla formazione di un carattere chiuso, introverso e piuttosto insicuro.
Con la nascita del fratellino, del quale scelse il nome, David, il suo carattere sembrò aprirsi, ma la curiosità di quello che era allora un ragazzino di appena 8 anni si diresse verso qualcosa di macabro e decisamente poco adatto a un bambino e cioè la tumulazione di cadaveri di animali e il trattamento di ossa e pelle degli stessi per la loro conservazione.
Il padre, vedendo in lui un interesse per un qualcosa che riteneva avere fondamenti scientifici, spiegò addirittura quali fossero i metodi migliori per sbiancare le ossa, come l'utilizzo della candeggina, e gli insegnò i rudimenti sul corretto sezionamento delle carcasse.
L'interesse di Jeffrey, però, non era affatto scientifico: per lui sezionare, scuoiare e più in generale "maneggiare" animali morti era qualcosa che gli provocava un piacere fisico, sessuale, e già dai tredici anni tali fantasie si spostarono dall'eccitarsi con i cadaveri degli animali all'eccitarsi immaginando la morte dei suoi compagni di scuola. Masturbarsi, pensando a scene di violenza che culminavano, appunto, con il decesso dei suoi compagni, era diventata la normalità e sembrava essere l'unico modo con cui poter raggiungere un orgasmo, in un periodo in cui la conoscenza e l'esplorazione sessuale del proprio corpo dovrebbe invece avere una valenza diametralmente opposta.

Dai sedici anni in poi, Jeffrey Dahmer comprese di essere gay e allo stesso tempo cominciò a fare regolarmente abuso di alcool. L'anno successivo, nel 1977, i suoi genitori divorziarono quando suo padre scoprì che la moglie lo tradiva e questo non contribuì affatto positivamente all'alcolismo di cui era preda il ragazzo, che raggiunti i 18 anni di età decise di trasferirsi in Ohio, nella vecchia casa di famiglia. Il 18 giugno del 1978 diede un passaggio a Steve Hicks, uno autostoppista di 19 anni, e con una scusa lo portò a casa. Cercò di temporeggiare offrendogli da bere e mettendo un po' di musica, fino a quando l'autostoppista, visivamente a disagio, pretese di essere accompagnato al concerto per il quale aveva richiesto un passaggio in auto. Dahmer lo colpì con un manubrio da allenamento, lo soffocò, gli tolse i vestiti e si masturbò su di esso. Subito dopo smembrò il cadavere e, come aveva fatto decine di volte con gli animali morti, sciolse alcuni pezzi del corpo nell'acido e sistemò quelli più voluminosi in sacchi della spazzatura che seppellì nel bosco. 

Jeffrey parse voler accantonare l'episodio dell'omicidio e tornare a una parvenza di vita normale, iscrivendosi all'università statale dell'Ohio, abbandonata dopo soli tre mesi a causa dei suoi problemi con l'alcolismo e arruolandosi nel 1979, sotto la pressione del padre, nell'esercito degli Stati Uniti in qualità di soccorritore militare. Nei due anni in cui fu arruolato scomparvero due persone (nessuna delle due riconducibile o attribuibile a Dahmer) e nel marzo del 1981 fu congedato sempre per colpa del suo grave problema di alcolismo. Jeffrey andò a vivere con la nonna e trovò lavoro in una banca del sangue, rivelandosi un discreto lavoratore e un nipote affettuoso e servizievole. Dopo meno di un anno, però, fu licenziato dal lavoro e visse per circa due anni con il denaro che gli dava sua nonna, che spendeva regolarmente in sigarette e superalcolici. Dal licenziamento riprese a smembrare e sciogliere nell'acido animali morti in cantina, con sua nonna che si lamentava del tanfo e del fetore che salivano fin dentro l'appartamento.

Jeffrey iniziò a frequentare con una certa frequenza i bar gay della città e il 20 settembre del 1987 uccise la sua seconda vittima, Steven Tuomi, un ragazzo 25enne che rimorchiò proprio in un bar gay (luogo che da quel momento in poi avrebbe preferito quale terreno di caccia per le sue vittime) e con il quale prese una camera all'Ambassador Hotel di Milwaukee. Dopo averlo ucciso lo chiuse in una valigia abbastanza capiente acquistata per lo scopo, lo portò nella cantina di casa, ebbe un rapporto sessuale con il suo cadavere e come la volta precedente lo smembrò in vari pezzi che in parte sciolse nell'acido e in parte gettò nella spazzatura. Sette mesi dopo fu la volta di Jamie Doxtator, un giovane quattordicenne di origini nativo-americane che, con la scusa di un servizio fotografico di nudo previo pagamento di 50 dollari, attirò in cantina, strangolò e ne trattò il cadavere come le volte precedenti.

La nonna continuava a lamentarsi della puzza che emanava la cantina, un misto di acido e carne in putrefazione, Jeffrey si giustificava dicendo che era una conseguenza della sua unica passione, la tassidermia, e che avrebbe risolto il problema. Diversi mesi dopo, il 24 marzo del 1988, uccise un 22enne bisessuale di origini messicane, Richard Guerrero, anch'egli conosciuto in un bar gay. Affinando la sua tecnica, prima lo drogò sciogliendo un potente sonnifero nel suo cocktail e successivamente, quando il sonnifero ebbe effetto, lo strangolò con una cinta di cuoio. Nel mese di settembre dello stesso anno la nonna decise a malincuore di cacciarlo di casa, dato che era perennemente sbronzo, non aveva alcuna voglia di trovarsi un lavoro e la casa per colpa sua puzzava perennemente di cadavere.

Jeffrey Dahmer, ritrovatosi solo, affittò un appartamento a Milwaukee e trovò lavoro presso una fabbrica di cioccolato. Con la scusa di un servizio fotografico, adescò un tredicenne originario del Laos, Somsak Sinthasomphone, ma qualcosa andò storto: dopo averlo stordito, il ragazzino riuscì comunque a fuggire e denunciarlo, denuncia che comportò l'arresto di Dahmer per violenza sessuale e la successiva condanna a dieci mesi di ospedale psichiatrico. Scontata la pena, tornò a vivere con la nonna, ma non vi restò a lungo: dopo aver ucciso Antony Sears, conosciuto in un circolo gay, tornò a vivere da solo portandosi un inquietante souvenir: la testa e i genitali mummificati di Sears, con cui era solito masturbarsi. Da quel momento, in poco più di un anno, dal giugno del 1990 al luglio del 1991, uccise ben dodici persone, utilizzando e perfezionando la tecnica del sonnifero nei cocktail e sperimentando tecniche macabre e perverse, quali la perforazione del cranio e l'immissione al suo interno di acqua bollente e acido diluito. Il suo scopo era quello di ridurre le sue vittime in uno stato di "zombie" come lui stesso successivamente ammise in fase processuale, inducendoli a fare tutto ciò che gli avrebbe chiesto. I vicini avevano più volte lamentato odori nauseabondi e rumori molesti provenire dall'appartamento di Dahmer, denunciandolo alla polizia, che riuscì a entrare nel suo appartamento soltanto quando anche un secondo ragazzo, Konerak Sinthasomphone (fratello di Somsak), adescato secondo le stesse modalità, fuggì e denunciò l'accaduto. Jeffrey raccontò di essere il fidanzato del ragazzo e di avere semplicemente litigato dopo aver alzato un po' troppo il gomito, storia che convinse, assurdamente, la polizia a lasciare nuovamente Konerak nelle sue mani. Quando la polizia andò via, Jeffrey terminò l'opera uccidendo, smembrando e stavolta mangiando parte del ragazzo. In seguito gli agenti accorsi sul posto ebbero un vero e proprio attacco mediatico, ritenuti responsabili non solo di essere stati superficiali, ma addirittura di aver contribuito con il loro operato alla morte stessa del giovane. Tale attacco ebbe la conseguenza di farli rimuovere dall'incarico, salvo essere nuovamente riammessi e addirittura promossi a mansioni superiori qualche anno dopo.

Il fatto che Jeffrey Dahmer fosse sempre più vittima dell'alcool contribuì, probabilmente, alla sua cattura. Agiva, infatti, quasi sempre in stato di ubriachezza, noncurante dei rischi che comportava, ad esempio, lasciare resti di cadavere in bella vista nell'appartamento, chiazze di sangue e cattivi odori vari. Quando il 22 luglio del 1991 invitò Tracy Edwards nel suo appartamento, quest'ultimo non poté non notare, ad esempio, le foto dei cadaveri mutilati sulle pareti. Seppure gli fosse stato somministrato del sonnifero come tutte le altre vittime, comprendendo di essere in pericolo riuscì a fuggire dopo una breve colluttazione, trovare una pattuglia della polizia e raccontargli l'accaduto. Gli agenti, trovatisi nell'appartamento di Dahmer per verificare il racconto del giovane, dopo una breve ispezione trovarono una scena raccapricciante degna di un film dell'orrore: genitali nella formaldeide, parti del corpo in pentole e nel frigorifero pronte per essere consumati come pasto, foto di smembramenti e teschi umani. Dahmer cercò di fuggire, ma era ubriaco e gli agenti non ebbero problemi a immobilizzarlo e ad arrestarlo, ponendo finalmente fine alla scia di omicidi.

Il processo di Jeffrey Dahmer iniziò il 30 gennaio del 1992, a Milwaukee, accusato per ben 15 capi di imputazione, per ognuno dei quali lo stesso Dahmer si dichiarò colpevole. Il 13 luglio del 1992 la sentenza lo condannò all'ergastolo per ogni omicidio da lui commesso, per un totale di 957 anni di prigione. Sebbene in prigione cercò di avvicinarsi alla religione, convertendosi al cristianesimo, gli altri detenuti sapevano cosa aveva fatto e soprattutto i detenuti appartenenti a una minoranza etnica (la quasi totalità delle vittime di Dahmer, infatti, apparteneva a una minoranza etnica) volevano ucciderlo. Il primo tentativo fu a opera di un detenuto che provò ad accoltellarlo alla gola durante una funzione religiosa nella chiesa del penitenziario, tentativo che non andò a buon fine. L'odio degli altri detenuti convinse il direttore a proporre a Dahmer di trasferirlo in isolamento, ma quest'ultimo rifiutò e il 28 novembre dello stesso anno, a distanza di pochi mesi, un altro detenuto, Christopher Scarver, lo aggredì con un manubrio da palestra colpendolo ripetutamente alla testa e fracassandogli il cranio. 

Jeffrey Dahmer morì nel tragitto dal penitenziario all'ospedale e il suo cervello conservato per studi scientifici. Successivamente alla sua morte i familiari delle vittime intentarono una causa contro la famiglia di Jeffrey, richiedendo che ogni ricavato proveniente da una vendita o da un guadagno riconducibile ai Dahmer fosse devoluto alle famiglie in questione. Lionel Dahmer, il padre, aveva scritto un libro di matrice saggistica sull'influenza dei genitori nella crescita dei figli e di quanto importante fosse la loro guida, spinto dalla voglia di trasmettere quanto purtroppo era capitato a lui con suo figlio e dal senso di colpa che lo attanagliava, ma quel libro fu ostacolato in tutti i modi e sebbene venne pubblicato, la ferita nella città di Milwaukee era ancora troppo fresca e finì presto nel dimenticatoio.

Le vittime di Jeffrey Dahmer


Da questa storia fu tratto un film, nel 2002, intitolato: Dahmer - Il Cannibale di Milwaukee, con Jeremy Renner nei panni di Jeffrey Dahmer e la già citata serie su Netflix con Evan Peters.


 



05 novembre 2021

Richard Ramirez - The Night Stalker

 






Richard Ramirez nacque il 29 febbraio 1960 a El Paso, in Texas, da Julian Mercedes Ramirez. Era l'ultimo di cinque figli e i genitori, immigrati messicani, erano dei gran lavoratori: il padre lavorava alla posta delle rotaie della ferrovia di Santa Fe, mentre la madre era operaia nella fabbrica di calzature Tony Lama, dove era a contatto con sostanze chimiche e coloranti per il trattamento del cuoio. Richard aveva un temperamento calmo e la sorella Ruth gli era molto affezionata; quando era piccolo passava molto tempo con lui e se ne occupava quando la madre non poteva farlo. Con il passare degli anni i genitori scoprirono che Richard soffriva di epilessia. Come se non bastasse, era di costituzione esile e i suoi lineamenti assomigliavano più a quelli di una ragazzina. Per questi motivi era spesso oggetto di derisione da parte dei suoi coetanei. Pare anche che a scuola subisse abusi da parte di un insegnante. Ramirez potrebbe essere stato influenzato verso l'omicidio da suo cugino, Mike, un veterano della Guerra del Vietnam che spesso si vantava con lui di aver ucciso e torturato decine di nemici, mostrandogli anche delle foto Polaroid delle sue vittime.
Queste foto includevano svariate immagini di teste decapitate di donne vietnamite, uccise subito dopo aver abusato di loro. Ramirez era anche presente quando, a soli quindici anni, vide suo cugino Mike sparare alla moglie, uccidendola. 
Il suo primo omicidio avvenne a Los Angeles, il 28 giugno del 1984. La vittima si chiamava Jennie Wincow e aveva 79 anni. La donna venne aggredita mentre dormiva, prima accoltellandola al petto, poi tagliandole la gola da orecchio a orecchio, per poi accanirsi di nuovo sul suo petto. Dopo averla uccisa si dileguò portando con sé degli oggetti di valore. Il corpo della donna fu scoperto dal figlio, che viveva al piano di sopra, la mattina seguente. Dai rilievi della polizia emersero segni di violenza sessuale sul cadavere. Passarono diversi mesi prima che Ramirez tornasse a mietere nuove vittime. Il 1985 fu l'anno della sua furia omicida, seminando il panico in tutta Los Angeles. A febbraio molestò una bambina di 6 anni e ne stuprò una di 9. Il 17 marzo, verso le 23:30, penetrò in un condominio, nascondendosi all'interno di un garage dove Maria Hernandez aveva parcheggiato la sua auto; lui le sparò, credendola morta, poi entrò all'interno del condominio. La donna si era salvata grazie al suo mazzo di chiavi che aveva deviato il proiettile, anche se ferita era riuscita ad alzarsi e a chiedere aiuto mentre Ramirez era dentro il suo appartamento e stava uccidendo la sua coinquilina, Dayle Okazaki, di 34 anni, sparandole e svaligiando l'abitazione subito dopo.
Nella stessa notte, Ramirez assalì Tsai-Lian Yu una donna di 30 anni originaria di Taiwan. Le sparò diversi colpi lasciandola morente in auto. Il 27 marzo l'uomo si introdusse nell'appartamento di Vincent Zazzara, un uomo di 64 anni. Con lui c'era sua moglie, Maxine Zazzara, di 44 anni; lui era il gestore di una pizzeria, mentre lei era un procuratore. L'uomo fu subito ucciso con un colpo di pistola alla tempia, lei venne picchiata e uccisa a coltellate. Ramirez sul cadavere della donna praticò diverse mutilazioni, fra le quali una ferita a "T" sul seno sinistro, infine le cavò gli occhi e li portò con sé insieme a svariati oggetti di valore e non. Il 14 maggio, a Monterey Park, entrò nella casa di una coppia, sparò un colpo alla tempia del marito, il 66enne Bill Doi, costrinse la moglie di 63 anni a farsi consegnare tutti gli oggetti di valore e poi la stuprò. Non riuscì a ucciderla come preventivato perché il marito, agonizzante, stava cercando di chiamare la polizia e tanto bastò a metterlo in fuga. La donna, invece, riuscì a chiamare i soccorsi, ma se lei riuscì a salvarsi, il suo consorte non ebbe la stessa fortuna e morì il giorno dopo. Ad ogni modo, lei riuscì a fornire una lieve descrizione dell'assalitore, dando alle forze dell'ordine una traccia su cui lavorare. La stampa, intanto, aveva già trovato un soprannome per il killer che stava terrorizzando Los Angeles, soprannominandolo  The Valley Intruder.



Il 29 maggio del 1985 Ramirez entrò nella casa di due signore anziane, una di 83 anni e l'altra, di 80 anni, invalida. Le due donne furono picchiate selvaggiamente, talmente forte che il manico del martello utilizzato si spezzò e venne rinvenuto sul luogo del delitto. La donna più anziana aveva subito un tentativo di stupro. Sul petto di essa l'assassino aveva disegnato con un rossetto un simbolo esoterico,  un pentagramma, mentre un secondo pentagramma fu ritrovato sulla porta. Purtroppo la donna di 83 anni fu rinvenuta morta, mentre l'altra di 80 riuscì a salvarsi. Il 30 maggio del 1985 la quarantenne Ruth Wilson si svegliò con una luce puntata sul volto. Ramirez era penetrato dentro la sua abitazione e le stava puntando addosso una pistola e una torcia. Le ordinò di scendere dal letto e di andare nella camera del figlio dodicenne. Legò le mani del ragazzino e lo chiuse nel ripostiglio. Poi ordinò alla donna di non guardarlo in faccia ("Non guardarmi, se mi guardi un'altra volta ti sparo"). Ruth, pur di farlo andar via, gli offri un girocollo d'oro e diamanti, ma a Ramirez non bastò. Le strappò la camicia da notte e la violentò, sodomizzandola. Prima di scappare le disse: "Non so perché ti lascio in vita. Io ho già ucciso della gente. Tu forse non mi crederai, ma l'ho fatto". Ruth, sconvolta dalle sue parole, subito dopo andò a liberare il figlio e chiamò la polizia. Riuscì a dare una descrizione dell'assalitore dicendo che era ispanico, alto e con i capelli scuri lunghi. Sebbene ci si riferisse a Ramirez con il soprannome di The Valley Intruder, alcuni giornali cambiarono l'appellativo in The Midnight Stalker, che alla fine divenne The Night Stalker. Il 27 giugno del 1985 ad Arcadia, una contea della città di Los Angeles,  Ramirez stuprò una bambina di 6 anni.




Il 28 maggio 1985, sempre ad Arcadia, fu rinvenuto nel suo appartamento il corpo privo di vita di Patty Higgins di 32 anni. Questo omicidio, però, non fu mai ufficialmente attribuito a Night Stalker, anche se i sospetti erano fortissimi. Il 2 luglio 1985, a meno di due miglia dalla scena dell’ultimo probabile delitto, venne rinvenuto il corpo senza vita di Mary Louise Cannon, 75 anni. Anche lei, come la vittima precedente, era stata uccisa in casa, prima picchiata e poi sgozzata. L’abitazione era stata svaligiata. Il 5 luglio Ramirez picchiò selvaggiamente una sedicenne con una sbarra di metallo, ma la ragazza riuscì a salvarsi. La furia di Nighth Stalker era ormai violenta e inarrestabile. La notte del 7 luglio 1985 penetrò nella casa della sessantunenne Joyce Lucille Nelson e la uccise con un oggetto contundente, ma l’assalto non lo soddisfò: nella stessa notte riuscì a intrufolarsi nell'appartamento di un’infermiera di 63 anni. Sorprese la donna a letto e con la pistola le ordinò di chiudersi in bagno. Dopo aver frugato in casa, cercò di violentare e sodomizzare la donna, ma non riuscì a mantenere un’erezione. La sorte dell’infermiera sembrava segnata, ma invece di ucciderla, Ramirez si limitò ad arraffare gli oggetti di valore e a fuggire. Il 20 luglio 1985 colpì in una nuova area di Los Angeles, Glendale. Si intrufolò nell’appartamento di Maxson e Lela Kneiling e li uccise brutalmente, aiutandosi anche con un machete comperato qualche giorno prima. Il corpo di Maxson fu massacrato, la testa era quasi staccata dal corpo. È probabile che Ramirez avesse usato la donna per le sue perverse fantasie sessuali prima di ucciderla e mutilarla. Lo stesso giorno assalì un’altra coppia, Chainarong e Somkid Khovananth, lui di 32 anni, lei di 29. Ammazzò l’uomo con un colpo alla testa, poi stuprò la donna e la costrinse a un rapporto orale. La picchiò furiosamente e, non contento, sodomizzò il loro bambino di 8 anni. Concluse la nottata portandosi dietro un bottino di trentamila dollari, tra contanti e gioielli. Il 6 agosto 1985 Richard Ramirez assalì l'ennesima coppia, Christopher Petersen, di 38 anni, e sua moglie Virginia Petersen, 27. Entrò come al solito dalla finestra della camera da letto e sparò contro di loro. Miracolosamente, l’uomo e la donna si salvarono. Christopher, che era un robusto camionista, venne colpito alla testa dalla pallottola, ma non morì. Per uno di quei casi che capita una volta nella vita, il proiettile non aveva danneggiato alcuna struttura vitale e addirittura l’uomo fu in grado di alzarsi dal letto e di mettere in fuga l’assalitore.




L’8 agosto 1985 Ramirez colpì ancora. Avendo puntato un’altra coppia, di notte entrò in casa loro, in una nuova zona di Los Angeles, Diamond Bar. Uccise nel sonno l’uomo di 35 anni, Elyas Abowath, e aggredì la moglie ventottenne, stuprandola e sodomizzandola. Los Angeles viveva nel terrore puro, le forze di polizia pattugliavano costantemente notte e giorno ed erano anche aumentati i numeri di vigilanti, così Ramirez decise di cambiare il suo territorio di caccia, spostandosi al nord della città. Nella notte del 18 agosto 1985 colpì a Lake Merced, una zona periferica di San Francisco. Le vittime erano una coppia di origine cinese, Peter Pan, 66 anni, e Barbara Pan, 64 anni. Furono ritrovati in camera, nel letto intriso del loro sangue. L’uomo era stato ucciso immediatamente. La donna, seppur picchiata e ferita dal colpo di pistola, riuscì a sopravvivere. Rimase però invalida per tutta la vita. Nell'appartamento fu ritrovato il disegno di un pentagramma fatto con il rossetto, accompagnato dalle parole "Jack The Knife", tratte dalla canzone The Ripper del gruppo Heavy-Metal Judas Priest. La stampa diffuse la notizia e fu il panico. Tra l’altro le indagini si erano fatte più complesse, perché il calibro e il tipo di proiettile rimosso dal corpo del signor Pan ricollegavano il tipo di aggressione ad altri due delitti, uno avvenuto a Los Angeles e l’altro a San Francisco diversi mesi prima. Il proprietario di una piccola pensione a San Francisco riconobbe Ramirez dalla descrizione della polizia e, quando gli agenti perquisirono la camera dove il serial killer aveva alloggiato, trovarono un pentagramma disegnato sulla porta del bagno. A questo si aggiunse il fatto che gli investigatori riuscirono a rintracciare nel distretto di El Sobrate un uomo che aveva comprato dei gioielli. I preziosi si rivelarono rubati e appartenenti alla signora Pan. La descrizione fornita dall'uomo corrispondeva a quella del killer. Il 24 agosto 1985 Ramirez colpì ancora, ma lontano da San Francisco, a Mission Vejo, a 50 chilometri a sud di Los Angeles. Entrò di notte nella camera di William Carns, un ingegnere informatico di 29 anni, e dalla sua ragazzi di 27, sparandogli contro ripetutamente, ma senza ucciderli. Afferrò per i capelli la donna e la trascinò in un’altra camera, poi le legò i polsi e le caviglie con alcune cravatte e le chiese se sapeva chi fosse. La donna, terrorizzata, ammise che pensava lui fosse il killer del quale tutti i giornali e le televisioni parlavano. Ramirez girò per la casa in cerca di soldi e gioielli, ma non trovò molto. Tornò arrabbiato dalla donna e la violentò per due volte. Alla polizia, successivamente, lei aveva riferito che l’alito di Ramirez era pestilenziale, quasi da stordirla. La donna, impaurita per la sua vita, indicò a Ramirez un cassetto con dentro dei soldi. Ramirez le intimò di dimostrare la sua fedeltà a Satana costringendola a ripetere varie frasi che osannavano il Maligno. "Io amo Satana", dovette ripetere la donna, fino a quando Ramirez non fu soddisfatto e la costrinse a un rapporto orale.



 
Alla fine, il predatore della notte la fissò. Lei pensò che fosse arrivato il suo momento, che Ramirez l’avrebbe uccisa. Invece lui esplose in una fragorosa risata e fuggì. La donna riuscì a liberarsi da sola e chiamò il 911. Affacciandosi alla finestra vide l’aggressore salire su una vecchia Toyota Station Wagon arancione. Quella stessa sera, un ragazzo che lavorava come guardiano in un garage vide l'automobile girare per il suo quartiere e insospettito chiamò la polizia. Il 30 agosto le autorità trovarono la macchina e la misero sotto sorveglianza, attendendo il ritorno di Ramirez, ma lui non si fece più vivo. Sull'auto trovarono alcune impronte digitali che lo identificarono. 
Ormai la fine dell’incubo era vicina.
Ramirez vedendo tutte le notizie di lui, dai telegiornali, decise di ritornare a Los Angeles. Ora il predatore della notte aveva bisogno di una nuova vettura per gli spostamenti. Il 31 agosto entrò in un negozio di liquori, ma si arrestò subito quando vide la sua immagine trasmessa nei telegiornali e stampata su tutte le prime pagine dei quotidiani. Le persone nel locale lo riconobbero subito e lui in preda al panico fuggì. Decise di rubare un'auto nel quartiere ispanico, pensando che in quel quartiere, camuffandosi per bene, sarebbe stato facile muoversi, ma si sbagliava. Aveva puntato una Mustang rossa, parcheggiata sul vialetto d’ingresso di una abitazione, con la portiera aperta e le chiavi inserite nel quadro di accensione. Non si era accorto che sotto la vettura c’era il proprietario, Faustino Pinon, 56 anni, intento ad aggiustare il mezzo che aveva qualche noia alla trasmissione. Sentendo il motore avviarsi, l’uomo si tirò fuori da sotto l’automobile, si alzò e afferrò per il collo Ramirez. L’auto coprì una breve distanza, ma Pinon non mollò la presa, per nulla intimorito dal fatto che Ramirez avesse una pistola. La Mustang urtò un garage e Ramirez approfittò dell'urto per abbandonare il mezzo e scappare, fermando al volo un’altra auto che stava sopraggiungendo. Minacciò di morte la conducente, Angelina De La Torre, che terrorizzata gridò per cercare aiuto. Suo marito Manuel, udendo le urla del marito, uscì di casa brandendo una barra di metallo e si diresse verso l'aggressore. Nel frattempo, un altro vicino, Jose Burgoin, chiamò la polizia. I suoi figli,  Jaime di 21 anni e Julio di 17 anni, sentendo le urla corsero in strada e riconobbero Ramirez nel serial killer che stava terrorizzando Los Angeles. Ci fu un inseguimento. Manuel riuscì a colpire Ramirez una prima volta, poi lo atterrò definitivamente lanciandogli contro la barra. Gli altri tre gli furono subito addosso e lo trattennero fino all'arrivo delle forze dell’ordine, che faticarono a salvarlo dal linciaggio della folla.




La storia processuale del Night Stalker fu molto lunga e complessa. La difesa di Richard Ramirez cercò in tutti i modi di allungare i tempi del processo, presentando un’istanza per respingere il giudice Michael Tynan e tentando di infondere dei dubbi sulla credibilità dei testimoni chiave dell’accusa. Il Los Angeles Time riportò la notizia che Ramirez aveva intenzione di uccidere il Pubblico Ministero con un’arma nascosta nell'aula del tribunale, con la conseguente installazione di un metal detector all'entrata e la perquisizione di tutti quelli che accedevano al suo interno, legali compresi. Non fu trovato nulla e Ramirez pareva sorpreso e divertito da quelle misure di sicurezza. Venne sostituito un componente della giuria, mentre un’altra giurata fu trovata morta con un colpo di pistola nel suo appartamento. Immediatamente i giornali si sbizzarrirono in congetture fantasiose, come  Ramirez che avrebbe pianificato l’omicidio dal carcere o che aveva un complice all'esterno, ma il giudice Tynan dimostrò che l’omicidio non aveva niente a che fare con il processo. In tutto questo Ramirez, con la sua risata beffarda, con i suoi insulti, con i suoi brevi e satanici comunicati, con gli occhiali da sole che non si levava neppure quando era chiamato in causa, con le ammiratrici che tifavano per lui presso il tribunale, ricordando agli americani le scene che ci furono durante il processo per Charles Manson, era diventato una specie di star. 
Il 20 settembre 1989 Richard Ramirez fu giudicato colpevole di 13 omicidi (ma le sue vittime furono almeno 14) e di 30 altri svariati capi d’accusa, che andavano dallo stupro al tentato omicidio, dal furto, alla sodomia. Prima di lasciare la sua cella, Ramirez mostrò ancora il pentacolo sul palmo della mano sinistra, stese due dita come corna e disse solo: "Evil". Il 3 ottobre 1989, dopo quattro giorni di consulta, la giuria fece sapere che aveva votato per la condanna a morte. Il commento di Ramirez, rivolgendosi ai giornalisti, fu: "Ci vediamo a Disneyland." Il 9 novembre 1989, quando il giudice Michael Tynan ufficializzò le 19 condanne a morte, Ramirez rilasciò la seguente dichiarazione: "Voi non mi capite e non mi aspetto che lo facciate. Non ne siete in grado. Io sono oltre la vostra esperienza, io sono oltre il bene e il male. Legioni della notte, stirpe della notte, non ripetete gli errori del predatore della notte e non mostrate pietà. Io sarò vendicato. Lucifero dimora in tutti noi." Nell’ottobre del 1996 Richard Ramirez si sposò con la giornalista freelance Doreen Lioy, 41 anni, laureata in Inglese e con un quoziente intellettivo di 152, con una semplice cerimonia nel parlatorio della prigione di San Quintino. La famiglia di lei la rinnegò subito dopo. Nel maggio del 2004 fu data notizia che Richard Ramirez sarebbe stato giustiziato mediante camera a gas in California. Ramirez attese anni per l’esecuzione nel braccio della morte a San Quintino e nel frattempo molte persone gli scrissero. Lui rilasciava interviste, aveva molti ammiratori, soprattutto ragazze, innamorate pazze di lui. Stralci di lettere e suoi autografi furono successivamente venduti su Internet raggiungendo anche cifre notevoli. Nel 2009 tracce di dna di Ramirez sono state legate alla morte di una bambina di nove anni di nome Mei Leung, avvenuta il 10 aprile del 1984. Il corpo fu ritrovato nella cantina di un hotel nel quartiere di Tenderloin, a San Francisco, dove Ramirez ai visse per un determinato periodo. Probabilmente, questo fu il suo primo omicidio. 
Richard Ramirez si spense all'età di 53 anni il 7 giugno del 2013 per insufficienza epatica, mentre era detenuto nel Carcere di San Quintino, in attesa di essere giustiziato.
Nella serie tv American Horror Story creata da Ryan Murphy e Brad Falchuk compare anche il personaggio di Richard Ramirez, precisamente nella quinta stagione, interpretato da Anthony Ruivivar, che visita l'hotel infestato che dà il nome alla stagione (American Horror Story:Hotel). L'hotel della serie si chiama "Hotel Cortez", nome fittizio, perchè l'idea dell'hotel infestato è ispirato all'Hotel Cecil di Los Angeles, luogo di morti, sparizioni e misteri.


 Anthony Ruivivar nei panni di Ramirez


Il personaggio di Ramirez appare di nuovo nella seria, ma stavolta nella nona stagione, intitolata 1984,  da giovane. A  interpretarlo stavolta è Zach Villa.


Zach Villa nei panni di Ramirez


Nel 2021 su Netflix è uscito il documentario di quattro puntate sui crimini compiuti da Ramirez; il titolo della serie è Night Stalker: caccia a un serial killer.