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17 settembre 2024

Il caso dei fratelli Menendez.








Lyle ed Erik Menéndez, i figli del ricco dirigente dell'intrattenimento di Beverly Hills José Menéndez, scioccarono la nazione nel 1989 quando uccisero brutalmente i genitori nella loro casa. La loro storia divenne un caso mediatico e catturò l'attenzione del pubblico come poche altre volte nella storia del crimine. 
Dietro il brutale omicidio, infatti, si nascondeva una storia di abusi subiti fin dalla giovanissima età e ne conseguì una complessa battaglia legale che avrebbe messo a dura prova le regole e i meccanismi dell'intero sistema giudiziario americano.

I fratelli, cresciuti in un mondo pieno di privilegi e di ricchezza, erano vittime di un padre severo, violento e irrispettoso, che non solo non si tratteneva dal punirli e minacciarli alla minima occasione, ma lo faceva persino in presenza di ospiti ed estranei.
L'atteggiamento aggressivo del padre, però, non si limitava alle semplici punizioni corporali. L'uomo  dedicava attenzioni fin troppo particolari ai suoi figli, cominciando dal più grande, Lyle, costringendolo a toccarsi a vicenda e a farsi masturbare, penetrandolo con oggetti vari. Quando Lyle, stanco dei continui abusi, manifestò al padre la volontà di non voler più ricevere tali "attenzioni", questi gli promise che non lo avrebbe più fatto, spostando di conseguenza il tiro sul figlio più piccolo, Erik, facendone il suo oggetto sessuale. 
Se già il fatto di un padre che abusa dei propri figli è qualcosa di mostruoso, orribile e contronatura, a rendere il tutto più amaro ci pensava la madre, che era ben consapevole di quanto stesse accadendo in casa ma, succube anche lei del marito, faceva finta di nulla, rifugiandosi nell'alcool e negli antidepressivi. 
Questa situazione, sostenevano, era culminata in un atto disperato di autoconservazione, spingendoli a uccidere i loro genitori in un impeto di rabbia, paura e disperazione.

La sera del 20 agosto 1989, Erik e Lyle Menéndez entrarono nella loro casa di Beverly Hills armati di fucile. Spararono per sei volte al padre, una delle quali, quella sulla nuca, gli fu fatale. Alla madre invece spararono per ben dieci volte, l'ultima delle quali al viso. Accertatisi che entrambi fossero morti, chiamarono la polizia e raccontarono di aver trovato i genitori privi di vita al rientro dal cinema.

Nessuno li avrebbe mai collegati all'omicidio, se non che a insospettire gli investigatori fu lo stile di vita esagerato che i due fratelli, fin da qualche giorno dopo la morte dei genitori, avevano iniziato a sfoggiare, sperperando l'eredità che si erano ritrovati a dividersi da un giorno all'altro.

Come se non bastasse Erik, in cura dal dottor Jerome Oziel, uno psicologo, confessò il terribile crimine commesso in coppia con Lyle, quasi senza rendersene conto, forse per togliersi quel peso che stava diventando, con il passare del tempo, un macigno troppo pesante da sopportare. Questi a sua volta si confidò con la sua amante, Judalon Smyth, che disse tutto alla polizia dopo aver litigato per colpa del fatto che Oziel non voleva lasciare la moglie.

In fase processuale, la squadra di difesa dei fratelli, guidata dal formidabile avvocato Leslie Abramson, dipinse un quadro vivido dei loro tormenti infantili, sostenendo che le azioni dei fratelli non erano state il risultato di calcoli a sangue freddo ma di un disperato tentativo, per l'appunto, di sfuggire agli implacabili abusi inflitti dal padre. Presentavano prove di cicatrici fisiche, traumi emotivi e una storia di trattamenti psichiatrici, tutti presumibilmente derivanti dal comportamento crudele di José.

Tuttavia, l’accusa ribatté con una narrazione diversa, quella dell’avidità e dell’avarizia. Dipinsero i fratelli come giovani viziati e autoindulgenti che, spinti dal desiderio per l'enorme fortuna dei genitori, avevano meticolosamente pianificato gli omicidi. Addussero a difficoltà finanziarie, abitudini di spesa stravaganti e una storia di conflitti con i genitori come prova di un motivo che andava oltre l’autodifesa.

Il processo divenne uno spettacolo, attirando un circo mediatico e calamitando l'attenzione pubblica verso la scoperta di una verità che, strano ma vero, poteva avere una doppia valenza ed essere interpretata su più fronti. Ogni aspetto del caso fu sezionato e analizzato, dal comportamento e dalle personalità dei fratelli ai raccapriccianti dettagli della scena del crimine. L’aula del tribunale divenne un palcoscenico per la messa in onda di segreti familiari profondamente radicati, smascherando le dinamiche tossiche che avevano infestato la famiglia Menéndez.

Alla fine, la giuria si schierò dalla parte dell'accusa, ritenendo i fratelli colpevoli di omicidio di primo grado. Lyle ed Erik furono entrambi condannati all'ergastolo senza possibilità di libertà condizionale e incarcerati in strutture separate e lontano dagli altri detenuti. Questo fino al 2018, quando furono entrambi spostati alla Richard J. Donovan Correctional Facility, lasciandoli comunque in unità separate. Il verdetto fu accolto sia con indignazione che con sollievo, lasciando il pubblico diviso sulla validità delle accuse di abuso e sulle motivazioni dei fratelli.

Nel corso degli anni, il caso dei fratelli Menéndez ha continuato ad affascinare e a provocare dibattiti. La loro storia è stata oggetto di numerosi libri, film e programmi televisivi, ognuno dei quali offre la propria prospettiva sugli eventi e le motivazioni dietro gli omicidi. La loro eredità serve a ricordare la complessità del comportamento umano, il potenziale distruttivo dell’abuso e il potere duraturo della narrazione di affascinare e sfidare la nostra comprensione del mondo che ci circonda.

Dal 19 settembre, su Netflix, è uscita la serie composta da nove episodi Monsters - La storia di Lyle ed Erik Menéndez, che è a tutti gli effetti la seconda stagione di una antologia iniziata con Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer.


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