Nel vasto panorama del cinema horror contemporaneo, Bring Her Back emerge come un'opera intensa e disturbante, capace di trascinare lo spettatore in un vortice di angoscia e mistero. Diretto con mano ferma e visione lucida, il film si distingue non solo per la sua trama inquietante, ma soprattutto per l'atmosfera densa e opprimente che riesce a costruire fin dai primi minuti.
La narrazione si sviluppa lentamente, con un ritmo studiato, quasi ipnotico, che riflette il tormento interiore del protagonista. Ogni scena è permeata da una tensione latente, che cresce fino a esplodere in momento di terrore puro ma mai gratuiti, sempre funzionali alla costruzione di un senso di inevitabilità e decadenza.
Ciò che rende Bring Her Back un horror memorabile è l'abilità con cui il regista - di cui si avverte l'influenza di autori come Ari Aster e Robert Eggers - orchestra suono, luce e composizione dell'immagine per creare un senso costante di disagio. I toni freddi della fotografia le ombre che sembrano vivere di vita propria e una colonna sonora minimalista ma disturbante, contribuiscono a imprimere ogni scena nella memoria dello spettatore.
Pur affondando le sue radici nei canoni del genere horror, Bring Her Back è anche un'opera profondamente umana. Il terrore non nasce solo dagli elementi soprannaturali, ma dall'incapacità di lasciare andare, dal bisogno disperato di riportare indietro ciò che irrimediabilmente perduto. Il film si interroga con crudezza e delicatezza insieme, su quanto siamo disposti a sacrificare pur di non accettare la realtà.
Bring Her Back non è un horror per tutti. Non cerca scorciatoie, non punta agli spaventi facili, è un film che si insinua sotto la pelle, che lavora con la psicologia più che con il sangue, e che lascia lo spettatore con una domanda inquietante: e se chiami davvero qualcuno dall'aldilà, sei sicuro che sarà ancora la persona che ricordavi?
In un (fin troppo lungo) periodo in cui gli horror puntano tutto su dinamiche scontate e prevedibili, questo film rappresenta una piccola perla insieme a Talk to me - dello stesso regista - di cui Bring Her Back sembra esserne l'erede spirituale. Consigliato.
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