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17 novembre 2025

William Bill Ramsey: il lupo mannaro di Southend









Un caso molto particolare, tra i tanti a cui indagarono i coniugi Warren, è quello che prese il nome di "Il lupo mannaro di Southend" e che coinvolse un uomo di nome William Bill Ramsey. 
Bill Ramsey nacque nel 1943 a Southend-on-Sea, una contea inglese. Sin dalla tenera età aveva sofferto di disturbi del comportamento, che i suoi genitori non erano riusciti a definire e a curare. La causa di questi strani fenomeni sembra abbiano avuto inizio quando Bill aveva 9 anni. Stava giocando nel giardino di casa, immaginando di essere un pilota di aerei. A un tratto un freddo gelido gli attraversò le ossa e uno strano odore, paragonabile a quello di un animale bagnato, permeò l'aria. Il bambino iniziò a urlare a squarciagola e a strappare con i denti l'erba del giardino; contemporaneamente il cielo si era oscurato. La madre, sentendo le  urla  del figlio, si precipitò da lui per calmarlo, ma Bill aveva preso a ringhiarle contro e a strappare la recinzione a morsi e a mani nude. 
Qualche giorno dopo ebbe anche un comportamento anomalo in pubblico, mordendo, ringhiando e camminando a quattro zampe, proprio come un cane, o meglio un lupo. Verso i 12 anni,  il ragazzo ebbe un altro comportamento decisamente strano, sempre in pubblico. La madre lo stava accompagnando a scuola tenendolo per mano, quando lui d'un tratto mollò la presa e a quattro zampe si precipitò a scuotere con violenza un palo pubblicitario, sbavando e ringhiando contro chiunque gli si avvicinasse. In un'altra occasione, i genitori di Bill lo videro distruggere un pilastro di cemento con la sua sola forza delle mani. Da allora, gli attacchi divennero più frequenti, ma i genitori si affidarono ad alcuni psicologi che seppero insegnare al ragazzo come controllarsi in quei momenti di rabbia improvvisa. 




Bill, con il tempo, si era convinto di essere un lupo mannaro rinchiuso in un corpo umano, una convinzione che lo accompagnò tutta la vita. 
Nel 1983 si presentò in ospedale in stato confusionale e con la bava alla bocca, dicendo agli infermieri che doveva essere legato perché stava per perdere il controllo. Scambiato per uno dei tanti pazzi che ogni tanto si presentavano alle porte del Southend Hospital, non venne creduto e qualcuno si fece persino beffa di lui. 
D'un tratto, tra l'ilarità e lo scompiglio generale dovuto alla situazione assurda,  l'uomo salto addosso a un infermiere e lo morse al braccio, quasi staccandone una porzione, poi tentò la fuga a quattro zampe, ringhiando e cercando di mordere chiunque gli si avvicinasse, come le volte precedenti. Fortunatamente fu raggiunto, sedato e sottoposto ad un trattamento per capire quale fosse il suo problema. 


William Bill Ramsey


Nonostante i suoi problemi psichici e comportamentali, Bill si sposò ed ebbe tre figli, rivelandosi un padre affettuoso ed un rispettabile uomo di famiglia. Tuttavia, poco dopo il suo matrimonio iniziò ad essere tormentato dagli incubi. Si svegliava nel cuore della notte ringhiando e ululando come un lupo, nella preoccupazione di  tutti i familiari. Un'altra sera, mentre era in un locale a bere in compagnia di alcuni amici, sentendosi poco bene si recò in bagno e specchiandosi vide il riflesso di un lupo. Scioccato,  chiese ai suoi amici di essere riaccompagnato a casa e durante il tragitto aveva cominciato a ringhiare contro l'amico alla guida, che fermò l'auto immediatamente e con l'aiuto degli altri amici lo immobilizzarono. Una volta tornato in sé, come tutte le volte precedenti, Bill non ricordava nulla dell'accaduto.


Southend Hospital


Successivamente fu rinchiuso nel reparto psichiatrico del Southend Hospital per un breve periodo. 
Il 22 luglio 1987, in compagnia di una prostituta locale, Bill si recò presso la stazione di Polizia di Southend chiedendo di essere rinchiuso in cella dai poliziotti, preoccupato di poter essere pericoloso nei confronti delle persone. I poliziotti, credendolo ubriaco, lo invitarono ad uscire e a non allarmare più gli agenti di polizia con le sue assurde storie (in città ormai si era sparsa la voce in merito alle sue stranezze). All'improvviso iniziò a ringhiare come un animale rabbioso nei confronti di Terry Fisher, il sergente di polizia di turno quella sera, che fu afferrato per la gola, sollevato in aria e lanciato a terra come se fosse stato una bambola di pezza. Per fermare Bill, che in quel momento pareva essere dotato di una forza sovrumana, dovettero intervenire sei agenti di polizia, che si scrollò di dosso con una facilità disarmante, finché insieme non riuscirono a bloccarlo e a rinchiuderlo nella cella di detenzione della stazione di polizia. Per tutta la notte Bill ringhiò, si scagliò ripetutamente contro le sbarre e cercò di infilare la testa e le braccia attraverso lo sportello di ispezione della cella, costringendo gli agenti a chiamare un medico per somministrargli un potente sedativo. Data la sua situazione psicologica decisamente labile, fu inviato al Runwell Hospital per un esame psichiatrico. 


Runwell  Hospital


Una volta giunto al Runwell, però, Bill non ricordava nulla di quanto successo e gli psichiatri pensarono che potesse soffrire di una malattia mentale nota come licantropia clinica, una condizione mentale in cui la persona crede di essere un animale e di conseguenza si comporta come esso. I media iniziarono a interessarsi al caso chiamando l'uomo " Il lupo mannaro di Southend". 


Ed e Lorraine Warren


A questo punto entrarono in gioco i Warren, che dopo aver visto un documentario sul caso, cominciarono ad indagare pensando che si trattasse di una possessione demoniaca e decisero di contattare Bill. Il 28 luglio del 1989, Bill viaggiò attraverso il Connecticut, negli Stati Uniti, per incontrare i Warren e fu portato portato nella cappella della Madonna del Rosario. Lì Padre McKenna praticò su di lui un esorcismo. 


Bill con Padre McKenna


Durante l'esorcismo, Bill fu trattenuto perché si contorceva e ringhiava nei confronti del vescovo, affermando successivamente di aver sentito come se "una forza lasciasse il suo corpo", e da quel momento pare che non ebbe più attacchi di nessun genere. Ad oggi è considerato l'unico caso autentico di licantropia.
Tutti gli eventi del caso sono riportati nel libro Werewolf: A True Story of Demonic Possession, scritto dai coniugi Warren, pubblicato la prima volta nel 1991 e attualmente ancora in vendita in lingua originale su svariati store online.


La bambola Robert



Quanti di noi da bambini giocavano con i propri pupazzi e le proprie bambole credendo che si muovessero e che parlassero con noi? Oggi le bambole sono sempre più realistiche, addirittura alcune sembrano dei veri neonati (le cosiddette bambole "reborn") che possono apparire perfino spaventose.
Alcuni secoli fa le bambole erano delle fedeli riproduzioni di esseri umani e spesso erano delle riproduzioni piuttosto inquietanti, come la famosissima  "Robert The Doll", di cui sicuramente alcuni di voi avranno sentito parlare, che è considerato uno degli oggetti più infestati al mondo dopo Annabelle (di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo).
Per quasi 115 anni Robert ha affascinato, spaventato e scombussolato il pubblico e ancora oggi continuano ad accadere cose strane in sua presenza.
La sua altezza è uguale a un bambino di età compresa tra i 4 e 5 anni, vestito con abiti da piccolo marinaretto; i suoi occhi sono delle perline nere dall'aspetto vacuo e le sue guance sono ricoperte di buchi. Tiene in grembo un cagnolino con grandi occhi sporgenti e un'espressione allegra.
La storia inizia nel 1906 a Key West, un'isola della Florida. Su questo aspetto ci sono due varianti: la prima racconta di una tata di colore, originaria delle Bahamas, che regalò la bambola a un bambino di 5 anni di nome Robert Eugene Otto. Si suppone che la donna odiasse la famiglia del bambino, per il quale lavorava, e che praticasse antichi rituali associati al Voodoo, facendo sì che in quell'innocente e tenero regalo si nascondesse, in realtà, una potente maledizione. Per far sì che la maledizione avesse effetto, si narra che i capelli della bambola fossero stati prelevati proprio dal piccolo Robert. La seconda invece racconta che la bambola fu acquistata in Germania da un nonno per regalarla al suo nipotino.
Indipendentemente da come la bambola fosse arrivata al bambino, lui se ne era innamorato e gli aveva dato il suo stesso nome, portandolo ovunque egli andasse e vestendolo con i suoi stessi abiti.
Dopo l'ingresso della bambola in casa cominciarono a verificarsi piccole stranezze, oggetti che sparivano, giocattoli distrutti e rumori notturni, come se qualcuno corresse in giro per la casa.
Quando i genitori accusavano il bambino per gli oggetti spariti o per i rumori, come se fossero dei dispetti, lui rimbalzava l'accusa alla bambola Robert, dicendo che fosse lui il colpevole di tutto. "Robert did it!" (è stato Robert!) era la sua risposta di sempre.
Spesso i suoi genitori lo sentivano conversare amabilmente con il suo bambolotto, altre volte vi litigava animatamente e quando le sue urla li costringevano a entrare in camera per vedere cosa stesse succedendo, lo ritrovavano rannicchiato e impaurito in un angolo.
La presenza della bambola cominciava ad essere opprimente, il bambino iniziò ad avere incubi frequenti, si svegliava gridando in preda alla paura e quando i genitori correvano da lui notavano sempre mobili spostati e oggetti sparpagliati sul pavimento, ma la sua risposta era sempre la stessa: la colpa era della bambola. I genitori, stanchi della situazione, decisero di rinchiudere la bambola in soffitta e porre fine così al problema.
Gli anni passarono e il bambino crebbe senza più pensare al suo omonimo "amico" di un tempo, frequentò l'Accademia di Belle Arti di Chicago e l'Art Students League di New York e infine andò alla Sorbona parigina, dove conobbe sua moglie Anne. Dopo la morte del padre, Robert ne ereditò la casa e ci andò a vivere con sua moglie. Fu allora che, cercando di sistemare i vecchi ricordi di famiglia, rovistò in soffitta ritrovando il suo amico di infanzia, come se avesse aspettato paziente il suo ritorno.  Da quel momento tra i due si creò nuovamente un legame estremamente morboso.




La moglie trovava inquietante questo legame tra Robert e la sua bambola, pensò addirittura che suo marito fosse impazzito quando le comunicò la volontà di creare una stanza solo per essa, completa di mobili e giocattoli perfettamente proporzionati alla sua grandezza, in modo che potesse guardare fuori dalla finestra. La stanza del suo amico Robert sarebbe stata quella che si trovava in cima alla torretta della loro abitazione.
Una volta, un idraulico che era stato assunto per fare delle riparazioni nella casa della famiglia Otto, sostenne di aver sentito delle risate di bambini, sebbene Robert e sua moglie non avessero figli. Incuriosito dalle voci, ne aveva seguito la provenienza e si era accorto che le voci provenivano dalla stanza in cima alla torretta. Quando era entrato nella stanza, aveva notato la bambola e senza un motivo preciso il suo corpo fu pervaso dai brividi. Era come se lo stesse fissando, sul pavimento c'erano diversi giocattoli disposti a caso e l'uomo aveva avuto come la sensazione di aver interrotto un bimbo mentre si stava divertendo con i suoi giochi preferiti, solo che in quella stanza, a parte lui, c'era soltanto un bambolotto e il suo fido cagnolino di stoffa.
La moglie si teneva a distanza dalla bambola più che poteva, diceva che si sentiva osservata e la trovava spesso in posizioni diverse da come l'aveva lasciata. Inoltre diversi vicini di casa le riferirono di avere visto il bambolotto affacciarsi a finestre di stanze diverse, e tutto questo quando i coniugi Otto non erano in casa. Nonostante le perplessità della donna, suo marito Robert non volle mai liberarsene, e soltanto quando morì, nel 1974, lei si decise a relegare nuovamente la bambola in soffitta e vendere la casa.
La famiglia Reuter, nuovi proprietari dell'immobile, avevano una figlia di nome Myrtle, che appena trovò la bambola la portò nella sua cameretta per giocarci insieme alle altre della sua collezione.
Ma ben presto cominciarono di nuovo i dispetti, spostando oggetti e mettendo in disordine.
Una notte la bambina si svegliò gridando e disse ai suoi genitori che la bambola l'aveva aggredita nel tentativo di ucciderla, cosa che afferma tutt'ora, anche se ormai è una donna adulta.
Robert The Doll adesso risiede all'East Fort Martello Museum, in Florida, dentro una teca di vetro, donato dall'ultima proprietaria, dopo essersi risvegliata con un principio di soffocamento causato dalla bambola sedutasi sul suo viso.
Molti visitatori giurano di aver visto la bambola muoversi, passarsi il cagnolino da una mano all'altra e di averla sentita anche ridere. Chiunque tenti di scattargli una foto senza chiedergli formalmente il permesso si ritroverebbe soltanto una sfilza di immagini sfocate e soltanto all'uscita dal museo i dispositivi usati per scattare le fotografie riprenderebbero a funzionare regolarmente.
Robert The Doll è divenuto una delle attrazioni più famose della Florida, una tappa imprescindibile per gli appassionati dei ghost tour, ma continua a essere un "bambino" discolo e dispettoso, seguendoti con lo sguardo dai suoi occhi neri e profondi, giocando nella sua teca con il suo cagnolino e sfidando chiunque non gli porti il dovuto rispetto.



Voodoo

 






Il termine voodoo (o vudù) significa spirito o divinità, da alcuni tradotto anche come "segno del profondo", e ad oggi il termine si riferisce alla religione che ne prende il nome, una delle più antiche e controverse al mondo. Nacque in Africa occidentale ben prima del colonialismo ed è una religione che, miscelata ad elementi cattolici e ad altre forme spirituali africane, diede origine appunto al Voodoo. A dispetto di quanto si creda, magari perchè condizionati dall'immaginario collettivo dei rituali di magia nera che l'hanno reso popolare in tutto il mondo, si tratta di una religione vera e propria, con tanto di regole sia morali che sociali, cerimonie, seminari per la formazione del loro clero, sacerdoti e congregazioni. Questa religione venne resa ufficiale nello stato del Benin nel 1996 e ad Haiti nel 2003, diffusa anche in Togo, Nigeria, Ghana e Costa D'Avorio. Il Voodoo per un lungo periodo fu perseguitato dalla Chiesa cattolica, ma per gli schiavi  africani esportati in America dai colonialisti era una fede comune che li faceva sentire uniti. Il Voodoo si diffuse velocemente in tutta l'America Centrale incrociandosi con la religione cattolica, come già accennato, da cui trasse l'idea di Dio supremo dotato di numerosi intermediari. Il Voodoo riconosce un Dio chiamato Mawu, Olorum o Gran Met, a seconda della tradizione a cui si fa riferimento. I fedeli non possono interagire direttamente con la loro divinità, ma solo con i Loa, spiriti collettivi con particolari caratteristiche, simili per certi versi ai nostri santi cristiani. I Loa vengono invocati durante i rituali nei loro templi sacri e possono possedere alcuni dei loro fedeli a tal punto da condizionarne i movimenti e comunicare attraverso di essi. Ne sono l'esempio il famoso e molto conosciuto Papa Ghede, che presiede dall'oltretomba gli spiriti dei morti, Erzulie, lo spirito della fertilità per certi versi riconducibile alla nostra Madonna cristiana e Ogoun spirito del denaro e del potere terreno. La base del Voodoo è il rispetto per la natura, per gli antenati e per la vita umana, ritenuta sacra e impregnata di potere divino. Nella religione del Voodoo si crede che il mondo dei vivi e quello dei morti coesistano, come se fossero sovrapposti. Oltre ai Loa e ai Mawu esiste un "maestro della testa", un'entità molto simile al nostro angelo custode, il cui scopo è quello di consigliarci e proteggerci. Durante i rituali, spesso si eseguono sacrifici di animali, si utilizzano delle bambole e geometrie sacre, dette Veve, attraverso le quali vengono evocati i Loa. Il sacrificio animale è uni dei rituali che ha fatto considerare in maniera negativa il Voodoo, anche se alcuni ricercatori sostengono che sia un'usanza usata in molte religioni, anche in quella cristiana, come l'Agnello pasquale dell'Antico Testamento. Anche lo stesso utilizzo delle bambole è un rituale ricorrente e noto già in Europa molto prima della comparsa del Voodoo.




Durante i rituali, alcuni fedeli si lasciano possedere consapevolmente dai Loa, mentre in altri casi sono gli spiriti dei morti a volersi impossessare dei celebranti. Il posseduto viene definito "zombi", perchè durante il rituale non è padrone delle proprie facoltà ma è totalmente dominato dallo spirito. Secondo la religione Voodoo, nel corpo coesistono due anime. Una è quella denominata "piccolo angelo guardiano", fragile, abbandona il corpo momentaneamente durante le possessioni e anche durante il sonno, dato che è molto "sensibile" e predisposta a lasciarsi influenzare da ciò che succede all'esterno. Su di essa viene praticata la magia nera, con lo scopo di imprigionarla o influenzarla in modo da poterla comandare a proprio piacimento. L'altra anima, quella più materiale e legata al corpo, viene definita "grande angelo guardiano". Questa, rispetto all'altra, non è vulnerabile e lascia il corpo umano solo dopo la morte. Molti fedeli utilizzano diversi amuleti protettivi proprio allo scopo di proteggere l'anima del piccolo angelo guardiano e preservarla da eventuali malefici.


Questi amuleti (o talismani) sono chiamati "Gri-Gri" e si posso acquistare in diversi mercati; il più famoso è quello di Lomè ad Akodessewa. La religione Voodoo come abbiamo visto è un culto complesso, che mescola elementi animisti alle credenze cattoliche e ad altre pratiche tradizionali africane, compreso il feticismo, la venerazione di manufatti e oggetti realizzati soprattutto con materiali naturali investiti di sacralità, i cosiddetti feticci. Attraverso questi feticci, il credente cerca di assicurarsi la protezione dello spirito che vi risiede per indurlo a eseguire determinati compiti. Per far funzionare un feticcio è necessario donargli il soffio vitale tramite un rito molto importante chiamato Rito Di Consacrazione, che deve essere svolto cospargendo l'oggetto di sostanze apposite, recitando preghiere e offrendo sacrifici. I feticci vengono poi impreziositi da conchiglie, unghie, vernice, stoffa, piume. pellicce e varie erbe.




Gli spiriti che animano i feticci sono i Geni, anime sottoposte a Dio ma che vivono tra gli uomini. Attraverso il feticcio, infatti, è possibile soddisfare tutta una serie di richieste, come assicurarsi protezione, esaudire desideri o danneggiare qualcuno qualora sia coinvolta la magia nera. Se i problemi da risolvere risultano molto difficili e complicati, potrebbe essere necessario sacrificare un bue, una pecora, una capra o un pollo,  versandone il sangue sull'oggetto e fargli acquisire, così, più potere. Il Benin è il solo stato africano con la percentuale maggiore di seguaci del Voodoo e in cui si possono trovare anche mercanti di feticci, cadaveri essiccati di topi, pipistrelli, uccelli, serpenti e leopardi, teschi, singole ossa, bambole di legno e cosi via. 
Ogni anno, il 10 Gennaio, nella città di Ouidah, nel Benin c'è un evento molto interessante e famosissimo, il Voodoo Festival. Durante questo festival, che attira fedeli da diversi paesi dell'Africa, c'è una lunga processione che va dal Tempio dei pitoni lungo la via degli schiavi fino alla spiaggia, dove si alternano balli, sfilate in maschera, musiche incessanti e trance ipnotiche. 
I feticci in Benin fanno parte della quotidianità e vengono spesso custoditi in casa o appesi in punti strategici dei villaggi, come gli ingressi e le uscite. Il feticcio più famoso è quello della città di Dankoli, un luogo di culto conosciuto da molti africani e che ha addirittura la fama di essere talmente potente da non richiedere l'intermediazione degli iniziati voodoo. 
A Dankoli i fedeli possono eseguire infatti dei rituali da soli, facendo le dovute richieste direttamente al loro Dio con delle preghiere.


                                                                  


Se in seguito alla preghiera il desiderio viene esaudito, il fedele torna per sacrificare un animale e versare il suo sangue sul simulacro. Maggiore è la portata del desiderio richiesto, più grande sarà l'animale da sacrificare. Lungo le strade del Benin sono frequenti, oltre ai mercati tematici, i santuari voodoo, posizionati nella maggioranza dei casi vicino agli alberi Roko. Questi alberi possono arrivare fino a 500 anni di età e, a detta di parecchi testimoni del luogo, sono dotati di poteri soprannaturali. Per gli appassionati del genere e per i fedeli il Benin è una terra tutta da scoprire.

09 settembre 2025

The Conjuring - Il Rito Finale: i coniugi Warren di fronte al male più oscuro

 



Tra i grandi protagonisti della saga horror moderna, Ed e Lorraine Warren non sono semplicemente personaggi di un film, sono il cuore pulsante di The Conjuring - Il Rito Finale, l'ultima e spaventosa battaglia contro le forze demoniache. Basati sulle figure reali dei celebri demonologi, i Warren incarnano il coraggio e la fragilità umana di fronte a un male che sembra impossibile da contenere.

In questo capitolo i Warren non si limitano a indagare, vivono sulla propria pelle il prezzo di ogni esorcismo e di ogni rituale. Ed, con la sua fermezza e la protezione che cerca di garantire alla moglie, mostra tutta la tensione di un uomo che lotta contro l'impossibile. Lorraine, con il suo dono medianico, diventa il tramite tra il mondo dei vivi e quello dei dannati, ma ogni visione è un colpo all'anima, un rischio di smarrire sé stessa.

E' questo contrasto tra forza e vulnerabilità a rendere i protagonisti così credibili e vicini allo spettatore. Non sono eroi invincibili, sono due persone che scelgono di affrontare l'oscurità nonostante la paura.



The Conjuring - Il Rito Finale non racconta soltanto di possessioni e rituali, ma del legame indissolubile tra i Warren, costretti, loro malgrado, a dover affrontate una entità soprannaturale legata a un misterioso specchio che infesta la famiglia Smurl (cliccate sul link per leggere la vera storia dalla quale è tratto quest'ultimo capitolo).

In questa occasione il terrore diventa ancora più palpabile perchè ci si immedesima in loro: e fossimo noi a dover scegliere tra proteggere la persona amata o cadere in preda di un'entità demoniaca? E' questo dilemma a rendere il film un'esperienza emotiva, oltre che spaventosa.

Senza Ed e Lorraine, inutile negarlo, la saga non avrebbe lo stesso impatto. La loro figura storica (nel bene e nel male, anche alla luce di rivelazioni che li rendono meno "buoni" di ciò che erano, a quanto pare, in realtà) trasposta su pellicola riesce, anche in quest'ultimo capitolo, a dare un'aura di spettralità e  di angoscia perenne, scena dopo scena, dando un degno finale a una saga che si merita di diritto il posto sul podio della cinematografia horror dell'ultimo ventennio.

Dopo L'evocazione - The Conjuring (2013), The Conjuring - Il Caso Enfield (2016) e The Conjuring - Per Ordine del Diavolo (2021), quest'ultimo capitolo mette davvero fine, in tutti i sensi, a un ciclo di storie legate e interconnesse a storie realmente accadute e che, seppure con le dovute differenze legate a scelte registiche, stilistiche e cinematografiche, sono riuscite a raccontare per certi versi uno dei tanti volti del male e dell'orrore puro.

The Conjuring - Il Rito Finale, diretto da Michae Chaves (che dal terzo capitolo prende le redini della saga sostituendo James Wan), riesce a conquistare il pubblico con ciò che è sempre stato il fulcro di ogni capitolo: difendere ciò che si ama a tutti i costi.


15 agosto 2025

Ervil LeBaron: il profeta dell'odio che trasformò una setta in una macchina di morte

 




Tra i leader religiosi più spietati e controversi della storia americana, il nome di Ervil LeBaron evoca un'ombra lunga e terrificante. Autoproclamatosi "Profeta di Dio" alla guida della setta poligama conosciuta come Church of the First Born of the Lamb of God, LeBaron orchestrò una scia di sangue che tra gli anni '70 e '80 portò alla morte di almeno 25 persone.
Dietro la facciata di una missione divina, nascondeva un disegno di potere, vendetta e terrore che trasformò il culto in una vera e propria organizzazione omicida.

Nato nel 1935 in una comunità mormone fondamentalista nello Utah, Ervil LeBaron crebbe in un contesto dove il fanatismo religioso era la norma. Carismatico e manipolatore, utilizzò la dottrina per legittimare ogni atto di violenza, reinterpretando il concetto biblico di "blood atonement" - l'idea che alcuni peccati possano essere espiati solo con il sangue del colpevole.

Per LeBaron, ogni rivale dottrinale o discepolo ribelle diventava un "nemico di Dio" da eliminare. Il risultato fu un culto che mescolava poligamia, controllo psicologico e omicidio ritualizzato.
Tra le sue vittime ci furono leader religiosi rivali, membri della propria famiglia e seguaci sospettati di disobbedienza. Gli omicidi non erano semplici esecuzioni: venivano pianificati con precisione, affidati a "squadre della fede" composte da devoti pronti a uccidere senza esitazione, convinti che stessero compiendo la volontà divina.

Molti degli assassinii furono brutali, con colpi di pistola a distanza ravvicinata, agguati notturni  vere e proprie cacce all'uomo in più Stati e persino in Messico. LeBaron impartiva ordini diretti, spesso in codice, e si assicurava che i colpevoli fossero giustiziati senza possibilità di redenzione. 

La paranoia alimentava ulteriormente la violenza: chiunque poteva passare, da un giorno all'altro, da fedele discepolo a bersaglio designato.
Anche dopo il suo arresto nel 1979 e la condanna all'ergastolo, la macchina della morte di LeBaron non si fermò. Dal carcere continuò a comandare, scrivendo un documento noto come "Il Libro della Nuova Alleanza", in cui ordinava l'esecuzione di 50 persone considerate traditori.

Molti di quegli omicidi vennero effettivamente compiuti anche dopo la sua morte in cella, nel 1981, prova dell'inquietante lealtà e del condizionamento psicologico che aveva instillato nei suoi seguaci.

Il caso di Ervil LeBaron resta uno dei più inquietanti esempi di come il fanatismo religioso possa degenerare in violenza sistematica. Dietro la maschera di un profeta, LeBaron agì come un boss criminale, trasformando la fede in uno strumento di controllo e condanna a morte.

Oggi, la sua storia è un monito sulle pericolose derive del potere carismatico e sulla fragilità di chi, in cerca di verità, può cadere preda di un messia oscuro.




10 agosto 2025

Il massacro della famiglia Lawson: il mistero e l'orrore di una vigilia di Natale insanguinata

 







Il freddo pungente del 25 dicembre 1929 avvolgeva le colline della Carolina del Nord, mentre le famiglie si stringevano accanto al camino per festeggiare il Natale. Per la comunità rurale di Germanton, però, quella giornata si sarebbe trasformata in un incubo destinato a essere ricordato per generazioni: il brutale massacro della famiglia Lawson.

Charles Lawson, contadino rispettato e padre di sette figli, sembrava incarnare l'immagine della famiglia americana laboriosa. Poche settimane prima di Natale, aveva portato la moglie e i bambini in città per acquistare nuovi vestiti e fare un insolito servizio fotografico, gesto anomalo per un uomo di modeste condizioni economiche.
Nessuno poteva sapere che quelle fotografie sarebbero diventate l'ultimo ritratto di un'intera famiglia.

La mattina di Natale, mentre i vicini preparavano il pranzo delle feste, Lawson uscì di casa armato di fucile. Prima si diresse verso il fienile, dove le figlie Carrie e Maybell, rispettivamente di 12 e 7 anni, stavano giocando. Con precisione glaciale, sparò a entrambe e ne occultò i corpi. Tornato in casa, uccise la moglie Fannie e poi i figli Marie, James e Raymond. Infine, la più piccola, Mary Lou, appena 4 mesi, trovò la morte tra le sue mani.

Il silenzio di quel giorno fu interrotto soltanto da un ultimo colpo di fucile: Charles si tolse la vita nei boschi vicini, lasciando accanto a sé lettere e appunti confusi, incapaci di dare una spiegazione chiara al suo terribile gesto.

Le motivazioni del massacro non furono mai chiarite del tutto. Alcuno parlarono di problemi mentali, altri di gravi difficoltà economiche. Nel tempo, voci più oscure emersero: si mormorava di un possibile abuso nei confronti della figlia Marie, che sarebbe rimasta incinta del padre.
Nessuna di queste teorie fu mai confermata, ma alimentarono un alone di mistero che rese il caso immortale nelle cronache del true crime americano.

La casa dei Lawson divenne meta di curiosi e cacciatori di fantasmi, convinti che gli spiriti della famiglia vagassero ancora tra quelle mura fredde e impregnate di sangue. Negli anni il massacro è stato raccontato in libri, ballate popolari e documentari, mantenendo viva la memoria di una tragedia che, a distanza di quasi un secolo, continua a gelare il sangue.

La storia è stata anche oggetto di un documentario/reality attualmente disponibile su Netflix, 28 giorni paranormali, in cui un gruppo di sensitivi si isola per ben 28 giorni in tre location diverse che furono teatro di efferati delitti e che parrebbero ancora essere infestate dalle anime di coloro che ne furono protagonisti e vittime. Una di queste location è appunto il luogo in cui fu uccisa la famiglia Lawson. 
Ciò che rende particolarmente interessante questo documentario/reality è che l'esperimento si basa su una teoria dei coniugi Warren, i famosi demonologi esperti di occulto, che prevede, al fine di svelare completamente i segreti di un luogo infestato e mettersi in contatto con le entità presenti, di isolarsi in quel luogo per ben 28 giorni senza nessun contatto con l'esterno.



06 agosto 2025

Bring Her Back: l'horror che trasforma il dolore in puro terrore psicologico




 


Nel vasto panorama del cinema horror contemporaneo, Bring Her Back emerge come un'opera intensa e disturbante, capace di trascinare lo spettatore in un vortice di angoscia e mistero. Diretto con mano ferma e visione lucida, il film si distingue non solo per la sua trama inquietante, ma soprattutto per l'atmosfera densa e opprimente che riesce a costruire fin dai primi minuti.

La storia ruota attorno a Ethan, un padre distrutto dalla morte improvvisa della figlia adolescente. Mentre il mondo attorno a lui sembra voler dimenticare, Ethan non riesce ad accettare l'assenza e si rifugia in rituali oscuri, guidato dalla promessa - o l'illusione - che un ritorno sia possibile.
Il desiderio di riabbracciare chi è perduto, però, si trasforma presto in un incubo, dove il confine tra amore e ossessione si fa sempre più labile.

La narrazione si sviluppa lentamente, con un ritmo studiato, quasi ipnotico, che riflette il tormento interiore del protagonista. Ogni scena è permeata da una tensione latente, che cresce fino a esplodere in momento di terrore puro ma mai gratuiti, sempre funzionali alla costruzione di un senso di inevitabilità e decadenza.

Ciò che rende Bring Her Back un horror memorabile è l'abilità con cui il regista - di cui si avverte l'influenza di autori come Ari Aster e Robert Eggers - orchestra suono, luce e composizione dell'immagine per creare un senso costante di disagio. I toni freddi della fotografia le ombre che sembrano vivere di vita propria e una colonna sonora minimalista ma disturbante, contribuiscono a imprimere ogni scena nella memoria dello spettatore.

Pur affondando le sue radici nei canoni del genere horror, Bring Her Back è anche un'opera profondamente umana. Il terrore non nasce solo dagli elementi soprannaturali, ma dall'incapacità di lasciare andare, dal bisogno disperato di riportare indietro ciò che  irrimediabilmente perduto. Il film si interroga con crudezza e delicatezza insieme, su quanto siamo disposti a sacrificare pur di non accettare la realtà.

Bring Her Back non è un horror per tutti. Non cerca scorciatoie, non punta agli spaventi facili, è un film che si insinua sotto la pelle, che lavora con la psicologia più che con il sangue, e che lascia lo spettatore con una domanda inquietante: e se chiami davvero qualcuno dall'aldilà, sei sicuro che sarà ancora la persona che ricordavi?

In un (fin troppo lungo) periodo in cui gli horror puntano tutto su dinamiche scontate e prevedibili, questo film rappresenta una piccola perla insieme a Talk to me - dello stesso regista - di cui Bring Her Back sembra esserne l'erede spirituale. Consigliato.


23 giugno 2025

Ted Bundy - Il killer delle studentesse

                                                             


                                                    



Il suo nome completo è Theodore Robert Cowell, è nato il 24 novembre nel 1946 a Burlington (Vermont) da Eleanor Louise Cowell in un istituto per madri non sposate, l'identità del padre è sempre rimasta sconosciuta, ma lui è famosissimo, noto con il soprannome: "il killer delle studentesse".  
Per la rubrica dei Serial Killer, oggi vi parlo di Ted Bundy.
Ted fu cresciuto dai nonni Samuel ed Eleonor Cowell a Philadelphia, che lo crebbero come figlio loro.
Alla famiglia, agli amici e al piccolo Ted fu detto che i nonni erano i suoi genitori biologi, mentre sua madre era la sorella maggiore.
Ted provava risentimento verso sua madre Eleanor per avergli sempre mentito e per avergli causato confusione sulla sua identità; scoprì la verità  nel 1969, sostenendo inizialmente che era stato il cugino a rivelargliela, ma alla scrittrice e biografa specializzata in crimini, nonché sua conoscente personale, Ann Rule, invece disse che aveva scoperto tutto da solo. In molti pensano che questa fu la causa scatenante della sua furia omicida.
Nel 1951  Eleanor e Ted andarono a Tacoma, nello stato di Washington, qui lei decise di cambiare nome in Louise, conobbe un cuoco di nome Johnny Culpepper Bundy, il quale lavorava presso l'ospedale locale e se ne innamorò perdutamente. Nello stesso anno si sposarono e Johnny adottò ufficialmente Ted, che ne prese il cognome e divenne Ted Bundy.
Anche se assunse il cognome del patrigno, Ted non mostrava nessun interesse o legame verso di esso. Successivamente Johnny e Louise ebbero altri quattro figli a cui Ted faceva spesso da babysitter. Johnny tentava sempre di farlo sentire come suo figlio, facendolo partecipare alle attività di famiglia o alle gite in campeggio, ma Ted rimaneva sempre distante da lui, continuando infatti a considerare il nonno come suo vero padre, un uomo che veniva descritto come violento, razzista antisemita e anticattolico e con un grande interesse verso la pornografia.
Soggetto a forti scatti d'ira, una volta scaraventò Julia, la sorella minore di Louise, giù dalle scale; inoltre spesso si rivolgeva ad alta voce a "presenze invisibili".
L'adolescenza di Ted lo cambiò tra la scuola e il suo impegno con i boy scout; divenne un bullo, prese parte a risse e furti vari, in alcuni episodi i professori lo descrivevano come una persona inquietante ed estremamente violenta, fu presto accusato di spiare donne dalle finestre.
Nel 1965 prese il diploma e ottenne una borsa di studio per l'università di Tacoma, luogo in cui si vocifera che abbia fatto la sua prima vittima e la seppellì nei pressi di una fontana.
Dopo un'anno a Tacoma, Ted si trasferì all'università di Washington, dove conobbe il suo primo amore, Stephanie Brooks, una ragazza che proveniva da una famiglia benestante e con cui provò a legarsi.
La ragazza, però, dopo essersi laureata, troncò ogni rapporto con lui, procurandogli una sorta di depressione che lo portò a lasciare l'università.
Nel 1969 decise di riprendere di nuovo gli studi presso l'università di Washington. Qui seguì i corsi di psicologia e legge e iniziò a essere coinvolto anche nella politica locale, lavorando alle campagne del repubblicano nero Art Fletcher ,candidato per la carica di vicegovernatore.
Nel tempo libero lavorava come volontario come operatore telefonico presso un'organizzazione no-profit della Seattle Crisis Clinic; il suo lavoro era di dare assistenza ai bisognosi e alle vittime di stupro, e fu qui che conobbe Ann Rule. Questa donna, del tutto estranea alla doppia vita dell'uomo, raccontò la sua esperienza nel libro: "Un estraneo al mio fianco".
Successivamente Ted incontrò una donna divorziata di nome Meg Anders con la quale iniziò una relazione. Lei si innamorò di lui e dei modi gentili con cui la trattava, facendo anche da figura paterna alla bambina nata dal matrimonio della donna con un altro uomo.
In quel periodo fu considerato un eroe per aver salvato una bambina di tre anni che stava annegando nel lago di un parco.
Il 4 gennaio nel 1974 ci fu il primo tentato omicidio: la vittima si chiamava Joni Lenz e aveva 18 anni; fu picchiata sul suo letto con una spranga di legno e poi violentata, riuscì a salvarsi ma non senza riportare gravi lesioni.
Il giorno seguente i coinquilini di Joni, insospettiti dal fatto che la ragazza non si facesse sentire per ben ventiquattr'ore, entrarono nell'appartamento e la trovarono nella camera da letto, sanguinante e con profondi segni di violenza. Vennero colti dal terrore nel vedere che una delle aste dall'intelaiatura del letto era stata spezzata e usata per picchiarla e poi conficcata profondamente nella sua vagina.
Joni respirava ancora al momento del ritrovamento,  così le sue coinquiline chiamarono i soccorsi e la polizia, ma quando arrivarono sul posto la ragazza era già entrata in coma per le forti lesioni subite. Quando si riprese non ricordava nulla dell'accaduto e solo in seguito si scoprì che Ted Bundy era riuscito a entrare e uscire dal suo appartamento grazie ad una finestra lasciata aperta.
Un mese dopo scomparve Lynda Ann Healy, rapita dalla sua abitazione, e dopo di lei ne scomparvero altre cinque.
Il 17 giugno del 1974 venne ritrovato il corpo di Brenda Carol Ball e due mesi dopo furono ritrovati i resti di due ragazze scomparse il 14 luglio dal lago Shammanish, Janice Ott e Denise Naslund. Janice era stata vista viva per l'ultima volta da una coppia che faceva picnic sula riva del lago; avevano visto la ragazza parlare con un giovane uomo attraente e avevano sentito che quest'ultimo si era presentato col nome "Ted " e portava un'ingessatura al braccio. Le aveva chiesto aiuto per caricare la sua barca sul tetto del suo maggiolino Volkswagen e non riusciva a farlo da solo per via del suo braccio, che si era rotto giocando a tennis.
Su questa vicenda spuntò fuori una testimone, una ragazza di nome Janice Graham, che raccontò alla polizia di come fosse stata adescata da un giovane ragazzo di nome Ted che andava in giro con un braccio ingessato e che le aveva chiesto aiuto per caricare la barca, però arrivata sul posto dove era parcheggiata l'auto si rese conto che non c'era nessuna barca. Nutrendo qualche sospetto, si era rifiutata di seguirlo fino alla casa dei suoi genitori sulla collina, dove Ted sosteneva che si trovasse la barca, e più tardi lo aveva visto in compagnia di un'altra ragazza.
Grazie a queste testimonianze fu possibile fare un identikit di Ted, che apparve su tutti i giornali. Da quel momento diverse persone cominciarono a fare il nome di Ted Bundy, tra queste ritroviamo Ann Rule e Meg Anders, ma prima che la polizia potesse arrivare a lui, l'uomo lasciò Seattle e si trasferì nello Utah.
Nei mesi successivi del 1974 altre cinque ragazze scomparvero, sempre in circostanze misteriose, tra gli Stati dello Utah,Oregon e Washington. Ma la polizia insieme agli investigatori pensavano che dietro a questi crimini ci fosse la mano di un altro assassino.
Il 17 giugno del 1974 fu trovato in un parco il corpo privo di vita della giovanissima Brenda Baker, ma la sua causa della sua morte non poté essere stabilita a causa dell'avanzato stato di decomposizione.
Il 18 ottobre 1974 scomparve la diciottenne Melissa Smith mentre tornava da una festa a Midvale, nello Utah. Fu ritrovata il 27 dello stesso mese, vicino a Salt Lake City, mutilata, sodomizzata e strangolata con le sue stesse calze. Dentro la sua vagina c'erano dei rametti e della sporcizia varia, ma la cosa più strana era che l'assassino prima di sbarazzarsi del suo cadavere l'aveva truccata.
Il 31 ottobre a Lehi, sempre nello Stato dello Utah, scomparve la diciassettenne  Laura Aime, che fu ritrovata priva di vita quattro giorni dopo, il giorno del Ringraziamento, da un'escursionista. Anche lei fu picchiata, 
sodomizzata e strangolata.

            
Alcune delle vittime accertate di Ted Bundy   


Il primo passo falso di Bundy fu l'8 novembre del 1974, quando tentò di rapire Carol Da Ronch vicino a un centro commerciale a Murray, sempre nello Utah, fingendosi un agente di polizia e dicendole che la sua auto era stata rubata. La ragazza salì sul suo maggiolino pensando che Bundy la stesse portando in una stazione di polizia per fare la denuncia del furto, ma Bundy fermò l'auto quando furono lontani dai centri abitati, le ammanettò un polso e le puntò contro la pistola, ma prima che riuscisse ad ammanettarle anche l'altro polso lei riuscì a ribellarsi e a fuggire. Mentre scappava trovò un motociclista che le diede un passaggio e la portò alla prima stazione di polizia.
Carol alla polizia fece una descrizione dell'uomo e della sua auto e fu qui che gli investigatori notarono una forte somiglianza con l'omicidio avvenuto a Washington, ma non trovarono nessuna impronta sulle manette che potesse confermare la loro ipotesi e la goccia di sangue, appartenente all'aggressore, che Carol aveva sul collo non fu sufficiente  per il test del dna.
Dopo poche ore dalla fuga di Carol scomparve Debbie Kent dalla Viewmont High School di Bountiful dello Utah. La ragazza era uscita prima dalla lezione di recitazione per andare a prendere suo fratello, ma la sua auto non lascio mai il parcheggio della scuola. Il suo corpo non venne mai ritrovato e di lei si perse ogni traccia. Tempo dopo emerse la testimonianza di Raelynn Shepard, l'insegnante di Debbie, che disse di aver visto un uomo avvicinarla con la scusa di farle credere che fosse successo qualcosa alla sua auto, lo stesso metodo che Bundy aveva usato con Carol.
Bundy si spostò nel Colorado, dove scomparvero altre quattro donne tra il gennaio e l'aprile del 1975. Una di loro fu trovata morta con segni evidenti di violenza sul suo corpo.
A Washington l'investigatore Bob Keppel, che si occupava del caso del  "killer delle studentesse", fece perquisire il maggior luogo di scarico di rifiuti dello Stato chiamato "l'area di Taylor Mountains". Durante la perquisizione del luogo furono trovati teschi rotti appartenenti a quattro ragazze diverse; uno di questi era di una ragazza scomparsa dell'Oregon.
Il 16 agosto del 1975, nello Utah, il poliziotto Bob Haywood, fratello del detective Pete Haywood di Salt Lake City coinvolto nelle indagini degli omicidi di Bundy,  vide un maggiolino che correva veloce ignorando la segnaletica stradale e "bruciando" i semafori rossi, lo seguì, chiese al conducente di accostarsi, gli chiese i documenti e notò che mancava il sedile del passeggero. Il conducente era Ted Bundy e il veicolo era il suo maggiolino. L'auto venne perquisita e vennero trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e un paio di manette. Bundy venne subito arrestato, successivamente il maggiolino fu controllato in maniera più approfondita; furono trovati e identificati i capelli di alcune ragazze, fu interrogata anche Meg Anders che per sei anni aveva frequentato Bundy, la quale raccontò agli investigatori delle cose interessanti sulle abitudini notturne del suo ex ragazzo, sulle sue stranezze in merito alle sue abitudini sessuali e sul possesso di grucce, stucco per ingessatura ospedaliera e baffi finti.
Dopo l'arresto di Bundy, gli investigatori di Salt Lake lo collegarono all'aggressione di Carol De Ronch che, osservando una foto del suo presunto aggressore mostratale dagli investigatori, non riusci a identificarlo perché all'epoca dei fatti aveva utilizzato un travestimento. L'insegnate Raelynn Shepard, invece, lo riconobbe subito come colui che rapì Debbie, fatto questo che permise l'arresto dell'uomo e posto sotto stretta sorveglianza in attesa di una prova definitiva. Sulla base dell'intero quadro indiziario, Bundy venne condannato per l'aggressione a  Carol De Ronch.
Licenziati i sui avvocati, decise di difendersi da solo e per tale motivo gli fu concesso l'accesso alla biblioteca del carcere, ma durante le sue ore di permesso Bundy riuscì a fuggire saltando da una finestra, appena in tempo per essere incolpato dall'FBI per i delitti in Colorado. 
Nono stante la sua fuga rocambolesca, Bundy venne preso sei giorni più tardi, ma incredibilmente riuscì a evadere di nuovo il 30 dicembre del 1977 e a raggiungere la Florida, dove prese in affitto un appartamento vicino a un campus universitario e cambiò il suo nome in Chris Hagen.
Il 14 gennaio del 1978 entrò nella sede di un gruppo di studentesse universitarie della Chi-Omega, dove uccise due ragazze mentre stavano dormendo, Lisa Levy e Margaret Bowman di venti e ventun anni. Anche queste ultime furono picchiate, strangolate e trovate senza vita nei loro letti. A una di loro erano state infilate due bombolette spray nella vagina e nell'ano. Oltre alle due giovani vittime Bundy era riuscito a ferirne altre due, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler, che riportarono solo qualche frattura alla testa e qualche dente rotto. La stessa notte Bundy picchiò selvaggiamente, procurandole varie fratture al cranio in cinque punti diversi, Cheryl Thomas, che sopravvisse.
Il 9 febbraio del 1978 i genitori della dodicenne Kimberly Leach di Lake City in Florida ne denunciarono la scomparsa subito dopo l'uscita da scuola. L'ultima volta era stata vista da un testimone dirigersi in compagnia di un uomo verso un furgone bianco. Il suo corpo venne trovato il 12 aprile, ma la causa della morte non si poté accertare a causa dell'avanzato stato di decomposizione del cadavere, che in alcuni punti risultava addirittura era anche parzialmente mummificato.
Dopo questo omicidio, Bundy abbandonò il furgone in un quartiere malfamato e rubò un altro furgone, occasione nel quale fu fermato dalla polizia per un controllo, ma mentre l'agente controllava i documenti approfittò della distrazione di quest'ultimo per fuggire e far perdere le sue tracce.
Tornò nel suo appartamento a Tallahassee lo ripulì da tutte le sue tracce e si diresse a Pensacola, in Florida, dove rubò un'altra auto la cui targa venne riconosciuta da un agente, che lo fermò e lo arrestò dopo una piccola colluttazione. Tra il 1979 e il 1980 in Florida si tenne il processo seguito con molta attenzione dai mass media di tutto il mondo; Bundy le provò tutte, arrivando persino a chiedere che il giudice e il suo team fossero sostituiti, richiesta che ovviamente venne rifiutata.
Al processo, la difesa fece testimoniare anche Louise Bundy, la madre di Ted,  le cui parole fecero commuovere il figlio. Sempre durante il processo fu portata all'attenzione della giuria una prova schiacciante: le sue impronte dentali sulle vittime. Bundy nel tentativo di rallentare il processo prima della sentenza si appellò a una legge delle Florida per cui qualunque dichiarazione di matrimonio davanti alla presenza di ufficiali di corte era ritenuta valida e legalmente vincolante, quindi propose alla sua attuale ragazza Carol Ann Bonne, sua ex compagna di università,di sposarlo. Lei accettò subito, divenendo così sua moglie.
Poche ore dopo, nonostante tutti gli sforzi di Bundy, arrivò la sua sentenza di morte:  la corte lo ritenne colpevole di 36 omicidi, anche se lui aveva affermato sino al giorno della sua esecuzione di averne compiuti in realtà 26.
Il giudice Edward Cowart per la sentenza disse le seguenti parole:
"E' stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo.Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. E' una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante, avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete vi siete presentato dalla parte sbagliata. Prendetevi cura di voi stesso, non ho nessun malanimo contro di voi, voglio che lo sappiate, prendetevi cura di voi stesso".
Durante le visite coniugali, sua moglie Carol Ann Bonne rimase incinta e nell'ottobre del 1982 nacque la figlia di Bundy; dopo la sua nascita, Carol non ebbe più rapporti con lui.
Alle 7:06 del 24 gennaio del 1989 Theodore Robert Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica con una scarica di 2.000 Volt per un minuto, fu dichiarato morto alle 7:16 del mattino. Fuori dal carcere si era radunata una folla con striscioni che urlava a favore dell'esecuzione.
L'ultima volontà di Ted fu di essere cremato e che le sue ceneri fossero sparse sulle Taylor Mountains nello stato di Washington.

                           
                                                       
                                                         Tratto dal libro di Elizabeth Kendall(nome d'arte)

Ted Bundy-fascino criminale, uscito nelle sale il  9 maggio 2019, diretto da Joe Berlinger con Zac Efron e Lily Collins: il film racconta la sua storia dal punto di vista della sua fidanzata. 

Trama del film: 
Elizabeth Kloepfer, con il volto segnato e qualche capello bianco, si reca in carcere per un incontro chiaramente cruciale con Ted Bundy, il serial killer con cui ha vissuto una storia d'amore. Si torna quindi indietro nel tempo alla sua giovinezza, negli anni 70, quando la loro relazione è iniziata come tante in un bar, vicino a un juke box. Il fascino di Ted è evidente, ma Elizabeth inizia a sentire che c'è qualcosa di strano nel suo comportamento.

Altri film tratti sulla vita di Ted Bundy:
Ted Bundy (uscito nel 2002), di Matthew Bright; Bundy: An American Icon (uscito nel 2008), di Michael Feifer; The Deliberate Stranger (uscito nel 1986), di Marvin J. Chomsky. Oltre a questi film sono stati prodotti svariati documentari disponibili su Netflix e Amazon Prime.


02 marzo 2025

Keith Hunter Jesperson: "The Happy Face Killer", lo strangolatore

 





Keith Hunter Jesperson è un serial killer che nei primi anni '90 uccise almeno otto donne, molte delle quali prostitute e senzatetto. Da piccolo amava catturare e uccidere animali randagi, cani, gatti, uccellini, strangolandoli fino alla morte. Questa tecnica la utilizzò anche per uccidere le sue vittime e il fatto che poi sui loro corpi e sulle lettere che inviava ai media e alle autorità per prendersi gioco di loro disegnasse delle faccine sorridenti gli valse il soprannome di Happy Face Killer.

Jesperson nacque il 6 aprile del 1955 a Chilliwack, in Canada, terzo figlio di cinque, tra fratelli e sorelle. Il padre era un tipo violento, era solito punirlo con cinghiate e scosse elettriche ogni volta che si trovava dei guai e Keith, seppur timido, nei guai ci si trovava spesso, sia a scuola che in casa, tra la sua irrefrenabile voglia di uccidere animali e le liti in cui rimaneva coinvolto nelle varie scuole che frequentava, per seguire i vari spostamenti del padre per via del suo lavoro.

Diplomatosi al liceo nel 1973, non frequentò il college perchè il padre era contrario, ma trovò lavoro come camionista, anche per mantenere la moglie Rose (sposata nel 1975) e i suoi tre figli, un maschio e due femmine. Il rapporto non durò molto, quando la moglie scoprì i tradimenti del marito chiese il divorzio e andò a vivere, con i figli, dai suoi genitori; era il 1990.

All'età di 35 anni era alto più di due metri e pesava oltre i centodieci chili, fu allora che comprese che avrebbe potuto uccidere una persona con relativa facilità, grazie alla sua superiorità fisica. La sua prima vittima fu Taunja Bennett, conosciuta in un bar di Portland. La portò a casa sua, la strangolò e occultò il cadavere. Per sua fortuna, Laverne Pavlinac, una donna in cerca di una scusa per porre fine alla relazione tossica che aveva con il fidanzato, si prese la responsabilità dell'omicidio, incolpando il fidanzato per averla costretta a compiere un tale gesto, Furono entrambi arrestati e processati.

Nel 1992 Jesperson tornò alla carica, questa volta in California, strangolando fino alla morte una giovane donna di Santa Nella il cui nome, a sua detta, era "Carla" o "Cindy". Nel 1994 fu la volta di Susanne, uccisa a Crestview, in Florida, stesse modalità.

Nonostante gli omicidi, solo nel 1995 la polizia iniziò a concentrare le attenzioni su di lui e dopo l'ennesimo omicidio riuscirono a incastrarlo e arrestarlo. La vittima era Julie Winningham, ma Jesperson cominciò a confessare non solo gli altri omicidi per cui altri si erano addossati la colpa o per i quali non era ancora stato trovato un colpevole, ma arrivò a dichiarare che le vittime fossero addirittura 185. Tale dichiarazione fu sottostimata dalla polizia, che ritenne ben più veritiero un totale di 8 vittime per mano di Happy Face Killer.

Condannato a tre ergastoli, nel 2010 fu incriminato per un altro omicidio, aggiungendo un quarto ergastolo alla sua pena, che sta scontando nel penitenziario di Riverside, in California.

Nel 2008 la figlia di Keith Hunter Jesperson, Melissa G. Moore, pubblicò un libro sul padre e su ciò che aveva vissuto con lui quando lei era alle elementari. Nei giorni che passavano in casa insieme, lo vedeva catturare, torturare e uccidere gattini e piccoli roditori, realizzando quanto stesse prendendo piede sempre più prepotentemente il lato sadico dell'uomo, ma non riuscendo ancora a concepire, essendo una bambina, fin dove si sarebbe spinto.

Nel 2014 è uscito un film su Happy Face Killer interpretato dal bravissimo attore David Arquette e diretto da Rick Bota.

      




23 febbraio 2025

The Monkey: il film basato sul racconto di Stephen king

 






Il 20 marzo vedrà il suo debutto nelle sale cinematografiche italiane il film The Monkey (Negli Stati Uniti il film è uscito il 21 febbraio), basato sul racconto del sempre più prolifico Stephen King.
Il racconto, uscito nel 1985 nella raccolta di racconti Scheletri, parla del ritrovamento, da parte di un ragazzo, di una scimmietta giocattolo che, una volta azionata, provoca la morte di una persona a lui cara. Sbarazzatosi del malefico giocattolo, si ritroverà suo malgrado faccia a faccia con esso in età adulta.

Il film ne segue a grandi linee la trama, pur con delle variazioni che anche a chi ha già letto la storia non saprà di "già vista" più del necessario. Ruoterà infatti intorno ai gemelli Hal e Bill che, frugando nella cantina del padre trovano la scimmietta che una volta azionata, beh, già sapete, no?

Alla regia abbiamo Oz Perkins, figlio di Anthony Perkins, l'attore del film Psycho, che oltre ad aver partecipato come attore nel seguito del film interpretato dal padre, come regista ha comunque un bagaglio piuttosto esiguo, dato che ha diretto solo cinque film, l'ultimo dei quali (escluso The Monkey) è il controverso ma efficace Longlegs del 2024, con un formidabile Nicholas Cage nei panni del cattivo di turno.

Sebbene una trama del genere difficilmente potrà portare qualcosa di totalmente nuovo per quanto riguarda la sceneggiatura o eventuali colpi di scena, sicuramente un qualcosa ispirato a uno dei racconti del re dell'orrore non passa inosservato. Negli Stati Uniti l'accoglienza è stata un "ni", ma chissà che in Italia non possa incontrare terreno più fertile in quanto a incassi e spettatori amanti del genere.

Voi lo andrete a vedere?